Percorso della luce in fotografia

Storia della fotografia generale e medica

La storia della fotografia è molto vasta ma cercherò di riassumere le più importanti fasi che hanno portato allo sviluppo sia della fotografia generale che medica.

La fotografia anagraficamente nasce il 9 Luglio del 1839 quando Dagherre, con il matematico e astronomo Arago, presenta la sua invenzione, una fotocamera (chiamata poi Dagherrotype).
Questo sistema era formato da lastre di rame su cui era applicato elettroliticamente uno strato di argento sensibilizzato alla luce con vapori di iodio, è quindi così si riesce a fissare su un supporto fotosensibile una immagine.

Ma in realtà, se vogliamo dirla tutta, l’invenzione della fotografia è di Leonardo che attraverso la sua Camera Obscura (spiegata nel Codice Atlantico tra il 1502 e il 1515) permetteva agli artisti dell’epoca di fare degli schizzi di quello che si vedeva con molta accuratezza. Essa era composta, semplicemente, da una “stanza” stagna in cui su una parete era praticato un foro (foro stenopeico) che rifletteva sulla parete opposta un’immagine, di quello che si vedeva capovolta, su cui gli artisti effettuavano gli schizzi e misurazioni geometriche. Essa non è solo utilizzata come scopi artistici ma anche ingegneristici e geometrici. In seguito si riuscì a rendere “portatile” la Camera Obscura così da dare la possibilità agli artisti, e a chiunque ne facesse uso, di portarla nei posti in cui sarebbe servita.

La camera obscura è stata utilizzata in pittura. Uno dei più noti artisti che l’ha utulizzata è il Canaletto che portava con se a Venezia la sua camera obscura portatile facendo schizzi e prendendo misurazioni geometriche dei canali e dei palazzi.

La Camera Obscura aveva dato un grande vantaggio agli artisti ma non aveva risolto un grosso problema quello di poter impressionare la scena e fissare un’immagine su di un supporto. Questo poi è stato risolto prima da Niépce (socio di Daguerre) che tra il 1820 e il 1830ca che ha creato delle eliografie di cui la prima era un’immagine dalla finestra di casa sua che con un tempo di posa lunghissimo (8 ore) riuscendo ad impressionare su una piastra di stagno quello che si vedeva al di fuori.

Quindi Niepce riesce a fare quello che da quando Leonardo inventa la Camera Obscura si cerca, il rendere visibile e stabile quello che l’operatore vede. Possiamo dire che Niepce è il vero creatore del fissaggio su un supporto stabile e duraturo di un’immagine: questo supporto erano delle lastre di peltro emulsionate con il bitume di Giudea (dotato di una gran capacità di annerimento).
Purtroppo però Niepce morì poco dopo e quindi Daguerre dovette proseguire gli esperimenti da solo ma riesce comunque a brevettare la loro idea diventando il padre della fotografia. La sua prima fotografia è un dagherrotipo fatto dalla finestra della sua abitazione a Parigi.

Il daguerrotipo è un processo che fornisce un’unica copia positiva, non riproducibile, su supporto in argento o rame argentato, precedentemente sensibilizzato in camera oscura, mediante esposizione ai vapori di iodio.

Dal momento in cui Daguerre brevetta il suo sistema si vedono le prime sperimentazioni in cui si iniziava a capire la vera natura di questo strumento: il documentare la realtà con le immagini.

Nel 1840 A.F. Donné iniziò a fotografare all’ospedale Charité di Parigi delle sezioni di ossa e denti facendo dei dagherrotipi attraverso un microscopio. Successivamente nel 1855 il Dr. Gurdon Buck si affidò alla fotografia per poter documentare (alcuni soldati colpiti al volto durante la guerra civile americana) lo sviluppo delle sue operazioni di chirurgia plastica.

Ecco che in quel momento la medicina capisce quale sia l’uso più giusto della fotografia in questo ambito: studio del paziente e documentazione. Quindi la storia della fotografia generale e medica iniziano a fondersi. Durante il passare di questi anni di grande cambiamento tecnologico la storia fa incontrare il mondo della fotografia con quello scientifico / medico e quest’ultimo che ha dovuto chiedere aiuto ai primi, difatti nel 1847 il Dr. James Inglis chiese aiuto a Hill e Adamson, due pionieri della fotografia e in particolare della calotipia, per fare un calotipo di una donna con grande gozzo.


Il calotipo è un procedimento inventato da H. F. Talbot che permette, attraverso un negativo, la stampa di più copie di una stessa immagine.
Nel 1840 Talbot aveva fatto molti progressi, tanto da ridurre il tempo di esposizione a circa otto secondi. Brevettò questo procedimento con il nome di “calotipia”. Il calotipo rispetto al Dagherrotipo aveva una qualità di immagine più bassa e una minore nitidezza, questa differenza aveva innescato una vera battaglia tra la nitidezza e la granulosità pittorica che aveva questo procedimento.

Nel 1902, negli Stati Uniti, viene prodotta la prima fotocamera reflex chiamata Graflex. Una fotocamera reflex monobiettivo solida, robusta e maneggevole progettata per essere usata dai fotoreporter a mano libera considerata per oltre un ventennio la migliore fotocamera al mondo.

Ma nel 1913 avviene una svolta epocale, la creazione delle pellicole 35mm (24x36mm). Le pellicole utilizzate fino a quel momento erano di 18x24mm non abbastanza larghe per la produzione di buone fotografie. Barnack capo produzione della Leica decise di raddoppiare le dimensioni della pellicola fino a 24x36mm ruotandola in orizzontale. Così nasce la pellicola che è diventata lo standard per la fotografia amatoriale, dilettantistica e anche per applicazioni professionali.

Il vero salto verso la fotografia medica avviene nel 1952 quando Lester Dine inventa il flash anulare, un particolare tipo di illuminatore elettronico con forma di anello che posto davanti all’obiettivo poteva illuminare correttamente e con una luce uniforme piccoli soggetti. Credo che il 1952 con la creazione del flash anulare possa stabilire il punto esatto in cui la storia della fotografia generale e medica si inglobano completamente. La sua forma e funzione era perfetta per la foto chirurgica e in qualunque altro tipo di documentazione medica dove era impossibile far entrare una potente luce che potesse creare una giusta immagine.

A supporto dell’importanza della fotografia in medicina nel 1955 durante un congresso Sir. Harold Gillies (chirurgo plastico esperto in chirurgia facciale) dichiarò che il più grande progresso in medicina plastica era l’uso della fotografia nelle applicazioni mediche.

Il formato della pellicola 35mm è rimasto uno standard per oltre 70 anni fino a quando nel 1975 un ricercatore della Kodak, Steven Sasson, inizia a lavorare al primo sensore fotografico digitale. Il primo prototipo di fotocamera con sensore digitale CCD produceva un’immagine ad una risoluzione di 0,01 Megapixel e i dati venivano registrati su un supporto magnetico (una cassetta). Il sensore CCD catturava la luce in due dimensioni e poi la trasformava in segnale elettronico. Nel 1978 viene rilasciato il brevetto per questo tipo di sensore. Volutamente non mi dilungo su quale sia il significato di CCD su questo articolo perchè sarò trattato più approfonditamente.


L’informatica aveva preso ormai piede nel mondo e infatti nel 1987 viene creata la prima versione del software Photoshop chiamata Display che era semplicemente un visualizzatore di immagini in bianco e nero su schermi in scala di grigio. Nel 1990 Display viene acquisito dalla Adobe ed è così che nasce la prima versione del software più famoso al mondo per la modifica delle immagini digitali Photoshop.

Nel 1991 viene prodotta la prima reflex con sensore digitale dalla Kodak chiamata DCS 100 destinata principalmente al fotogiornalismo.

La DCS-100 era stata sviluppata su un corpo della Nikon F3 aveva una risoluzione di 1,3 Megapixel essa viene fornita con una unità di archiviazione esterna chiama DSU (Digital Storage Unit) per conservare le immagini e dove si alloggiavano anche le batterie, conteneva un disco rigido da 200Mb e poteva contenere 156 immagini in formato grezzo (RAW) e 600 in Jpg con una scheda accessoria per la comprensione dei file venduta come accessorio.
La continua evoluzione della tecnologia e dei processi produttivi hanno reso poi possibile commercializzare fotocamere digitali con sensori sempre più potenti e di qualità a costi contenuti tanto che adesso non è più possibile parlare di differenza tra una fotografia analogica ed una digitale.

Analizzando l’evoluzione della fotografia da quando nel 1400 Leonardo studia la luce e crea la Camera Obscura, passando poi ai primi pionieri della fotografia e arrivando ad oggi con il sensore digitale, possiamo affermare che in realtà, al di la della tecnologia in uso, la fotografia non è mai cambiata. Leonardo fa un foro su una parete che proietta un’immagine sulla parete opposta, Daghere inventa una fotocamera con un sistema di lenti che fa passare la luce arrivando ad una lastra che impressionandosi crea una immagine poi vengono create pellicole che hanno lo stesso uso delle lastre fino ad arrivare ai sensori digitali. Quindi la luce fa sempre lo stesso percorso ma si troverà poi un sensore che trasformerà un segnale analogico (la luce) in uno digitale (un file informatico), quindi da Leonardo ad ora il concetto è sempre lo stesso

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Robert Frank

Robert Frank

Robert Frank nato a Zurigo il 9 Novembre 1924 morto a Inverness (Scozia) il 9 settembre 2019.
Anche se di origini ebree riesce a non avere problemi con le ripercussioni raziali rimanendo al sicuro in Svizzera.


A l’età di 20 anni studia arte grafica, lavora come assistente di un fotografo e gira il mondo.
All’età di soli 22 anni (1946) pubblica, autofinanziandosi, il suo primo libro di fotografie chiamato “40 Fotos”.


Negli anni ’50 si trasferisce a New York e li gli si apre uno scenario nuovo. Vede un mondo che era, per lui nuovo, caotico e disordinato dove le persone sembravano non avere una meta precisa. Incomincia, così, a studiare la vita americana girando in lungo e in largo tutti gli Stati Uniti tra il 1955 e il 1956. Riesce a farlo perché vince una borsa di studio promossa dalla Fondazione Guggenheim di New York. In questo suo viaggio scatta 24.000 fotografie e da queste ne ricava 83 con cui pubblicherà un volume chiamato “The Americans” edito dalla Grove Press.


Purtroppo nella sua vita due lutti scioccanti lo toccano particolarmente. Il primo figlio muore in un incidente aereo e l’altro, dichiarato schizofrenico, morirà dopo appena 20 anni (1974).


Il suo lavoro “The Americans” nasce dall’idea di creare una biografia di una nazione che è caratterizzata da forti contrasti ed ipocrisie. Frank rifiuta la composizione classica in quanto la caoticità e il disordine di questa nazione lo porta a non avere schemi tecnici. Cerca di stare quanto più possibile distante dal soggetto perché non vuole che esso sia influenzato dall’essere inquadrato. Infatti le sue foto ritraggono molto spesso soggetti che non guardano in macchina e che non sanno di essere fotografati. Secondo la mia personale visione della Street Photography il non essere visti dal soggetto è molto importante perché, proprio come diceva Frank, l spontaneità è tutto in questo tipo di immagini.

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Joseph Koudelka

Joseph Koudelka

Joseph Koudelka nato a Boskovoice (Repubblica Ceca) il 10 Gennaio 1938.
È uno di più grandi fotografi della storia, incomincia a fotografare già da bambino. Studiò ingegneria aeronautica ma non abbandona mai la sua passione per la fotografia.

Nel 1961 si laurea presso l’Università tecnica di Praga tenendo nello stesso anno la sua prima mostra di fotografie. Ha lavorato come ingegnere fino al 1967 quando decide di dedicarsi totalmente alla fotografia.

Ha iniziato a scattare dietro le quinte dei teatri di Praga con una vecchia Rolleiflex.


Il servizio che rende famoso, Joseph Koudelka, al mondo è “la Primavera di Praga” documenta l’invasione Russa ma stando molto attento in quanto nel suo paese c’è una feroce censura. Tramite canali clandestini fa arrivare le foto a Elliott Erwitt che le pubblica, ma senza la sua firma, per paura di ripercussioni sulla famiglia firmate con P.P. (Photographer of Praga).


Nel 1969 le sue immagini della “Primavera di Praga” premiate con la Robert Capa Gold Medal dell’Overseas Press Club ma con il nome di “anonimo fotografo ceco”.
L’anno successivo fugge a Londra e nel 1971 Elliott Erwittlo presenta alla Magnum Photos e ne diviene socio ma rifiutò la maggior parte degli incarichi giornalistici.
Koudelka è un’anima libera infatti negli anni 70 e 80 prosegue il suo lavoro in giro per l’Europa e pubblica i suoi primi libri. The Gypsies nel 1975, il suo primo libro, è un racconto fotografico sugli zingari di cui lui è sempre rimasto affascinato.


Dal 1986 lavora con una fotocamera panoramica e una selezione di foto così ottenute sono pubblicate nel libro Chaos del 1999.
È un personaggio molto particolare, definito anarchico. In realtà è uno spirito libero con una sua coerenza e filosofia. Sperimenta molto sia con le foto panoramiche che fotografando panorami in verticale.

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Alex Webb

Alex Webb

Alex Webb nato a San Francisco il 5 Maggio 1952.
Membro di Magnum Photos dal 1979. È considerato uno dei massimi esponenti della Street Photography.
Vive e lavora a Brooklyn, con sua moglie, Rebecca Norris Webb, anche essa una fotografa.
Nella Street Photography ci sono diversi tipi di fotografi: quelli che raccontano un posto, quelli che raccontano la vita quotidiana, quelli che con le loro immagini denunciano qualcosa che di solito viene ignorato.

Invece Alex Webb ci racconta una vita di “strada” differente, non racconta una storia o un particolare spaccato del mondo in cui viviamo. Lui ci racconta la vita quotidiana con colori accesi, contrasti e la ricerca della fotografia poetica.

Guardando i suoi scatti è possibile notare la sua ricerca dell’importanza di ogni soggetto all’interno della fotografia. Scatta con la sua inseparabile Leica M6 e sceglie di solito la pellicola perché, secondo lui, sottolinea meglio le sensazioni.

Quindi potremo affermare che Webb sia un vero poeta della fotografia donandoci, in ogni sua foto, una grande emozione. Infatti riesce a ordinare i vari mini mondi che comunicano tra loro all’interno dell’immagine. Questo avviene con una “composizione stratificata” dove ogni soggetto ed elemento fotografato viene esaltato ai massimi livelli.
Ha scritto numerosi libri di fotografia e le sue fotografie sono comparse su magazine importanti come: Geo, Time, National Geographic, New York Times Magazine, Stern e Life.

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Martin Parr

Martin Parr

Martin Parr nato a Epsom (cittadina inglese nella contea del Surrey) il 23 Maggio 1952.
È considerato il più celebre e celebrato fotografo inglese contemporaneo.


Dal 1973 al 1979 studia fotografia al Manchester Polytechnic. Successivamente si dedica al fotogiornalismo e realizza reportage per diverse riviste e compagnie teatrali.

Dal 1974 insegna fotografia presso l’Oldham College of Art (Manchester, Dublino e Newport).
Le sue foto (in medio formato) sono caratterizzate dall’uso del colore molto contrastato e luminoso.
Riesce a cogliere i modi ironici e grotteschi delle persone per poter dare, a chi guarda le sue foto, una idea del paradosso dell’orribile ma allo stesso tempo della sua familiarità.


Attraverso i suoi lavori Parr critica, con una visione sarcastica, il consumismo, il turismo di massa e l’idea delle famiglie dell’epoca.
Possiamo affermare che Parr, attraverso il suo occhio sarcastico e di denuncia della massa, riesce a mostrare tutti i paradossi degli esseri umani e dei loro atteggiamenti.

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William Klein

William Klein

William Klein nato a New York il 19 Aprile 1926 – morto a Parigi il 10 Settembre 2022.
Sempre all’insegna dell’anticonformismo, William Klein, nella sua vita è stato fotografo, scultore, pittore e regista.
Con origine ebree ebbe modo di sperimentare l’antisemitismo che egli anni ’30 anche negli Stati Uniti stava prendendo il sopravvento.
Prima di concludere gli studi si arruolò con l’esercito americano come radio operatore in Francia e in Germania.


Nel 1948 si trasferisce a Parigi e si iscrive alla Sorbona dove i suoi professori (André Lothe e Fernand Leger) incoraggiavano gli studenti ad andare contro il conformismo e i valori borghesi presenti nell’arte dell’epoca.

Nel 1952 va a Milano dove dirige due spettacoli teatrali al “Piccolo”. Nello stesso tempo collabora con l’architetto Angelo Mangiarotti e inizia a scrivere per la rivista di architettura “Domus”.
Incomincia ad avvicinarsi alla fotografia e lo fa in modo particolare facendo uso di pittura astratta e fotografia.


Nel 1954 approda a New York e conosce Liberman (un art director, fotografo e scultore russo neutralizzato in America e nel 1943 diventa direttore artistico per Vogue) che gli chiede cosa volesse fare, lui risponde di voler fotografare “La Grande Mela” in una maniera nuova con la realizzazione di una sorta di diario fotografico. Liberman decide di finanziarlo e gli offre un contratto come fotografo di moda per la rivista “Vogue”.


Da regista realizzò più di 20 film e gira il primo documentario in assoluto su Muhammad Ali.
È considerato una delle figure più anticonformiste della storia della fotografia americana del dopoguerra.
Quando si dice “impara la tecnica e poi dimenticala” lui ha fatto proprio questo, è andato contro tutte le regole della fotografia come la composizione e il fuori fuoco. Considerava Henri Cartier-Bresson un grande fotografo ma non gli piace il suo tecnicismo negli scatti. Aveva acquistato la stessa fotocamera che usava Bresson e fece capire al mondo che con occhi diversi è possibile guardare, e documentare, il mondo in modi diversi.

Se vogliamo portare questo ragionamento ai giorni di oggi possiamo dire che lui è stato un vero precursore della fotografi artistica senza rigidi canoni e lo dice perfettamente in una sua celebre frase: “per me, fare una fotografia era fare un anti-fotografia”.
Considerava inutile, controproducente, l’ossessione per la tecnica che ha sempre caratterizzato i fotografi e infatti in una sua frase dice: ”Ho avuto una sola fotocamera per iniziare. Di seconda mano con due lenti e nessun filtro. Quello che mi interessava era immortalare qualcosa sulla pellicola per poi passarla sotto l’ingranditore”.

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Brassai (Gyula Halasz)

Brassai (Gyula Halasz)

Brassai (Gyula Halasz) nato a Brasov (Transilvania) il 9 Settembre 1899 – morto a Èze l’8 Luglio 1984. Padre ungherese (docente di letteratura ungherese) e madre armena.

Combatte nella Prima Guerra Mondiale con l’esercito Austroungarico. Finita la guerra va a Berlino dove continua a studiare all’Accademia delle Belle Arti.

Nel 1924 si trasferisce a Parigi, precisamente a Montparnasse, lavorando come fotogiornalista presso la rivista Minotaure dove diventa il ritrattista dei grandi artisti legati alla rivista quali: Dalì, Picasso, Breton, Giacometti, ecc.

Nel 1933 pubblica il suo primo libro dal titolo “Paris de nuoti”.
Non solo fotografia ma fa anche cinema infatti nel 1956 vince il “Grand Prix Speciale della Giuria” al Festival di Cannes con il suo film “Tant qu’ll y aura des bêtes”.
Nel 1978 vince a Parigi il Premio Internazionale di Fotografia.

Nella sua vita ha scritto anche 17 libri e tanti articoli.
C’è una curiosità su Brassai, quando ha scattato a Parigi durante la notte, aveva bisogno di tempi molto lunghi e si dice che lui calcolava il tempo di scatto in base a quanto ci metteva per fumare una sigaretta Gauloises.

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Robert Doisneau autoritratto

Robert Doisneau

Robert Doisneau nasce a Gentily, un sobborgo di Parigi, nel 1912.
Nel 1929 inizia a lavorare con la fotografia presso il fotografo Andrè Vigneau per poi passare, negli anni 30, come fotografo per la Renault.
La Seconda Guerra Mondiale fa fermare la sua attività di fotografo ed entra a far parte della resistenza dove inizia a falsificare documenti, vista la sua esperienza come litografo.
Dopo la guerra ricomincia la sua attività di fotografo facendo anche diversi reportage per la rivista Vogue. Nel 1949 pubblica il suo primo libro fotografico “La Banlieu de Paris” con immagini di Parigi e della vita quotidiana parigina.
Nel suo lavoro si è dedicato molto alla documentazione della vita quotidiana parigina tanto da essere riuscito, più di altri, a raccontare lo stile di vita francese ed è stato considerato “il poeta della street photography”.
Insieme a Henri Cartier-Bresson è uno dei fondatori del fotogiornalismo di strada e anche uno degli esponenti di punta della “fotografia umanistica”.
Lui riassume la visone del mondo e della fotografia con queste parole:”Quello che io cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere. Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere”.
Muore a Parigi il 1 Aprile del 1994.

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Caio Mario Garrubba

Caio Mario Garrubba

Caio Mario Garrubba è nato a Napoli il 19 Dicembre 1923 ed è morto a Spoleto il 3 Maggio 2015.

È considerato uno dei massimi esponenti della fotografia italiana ed è noto come “il fotografo del comunismo della speranza”.
Frequenta, a Napoli e a Roma, le facoltà di Medicina e Filosofia che lascia nel 1947 per dedicarsi al giornalismo sindacale fino al 1951.


Parte per la Spagna nel 1952 dove scatta le sue prime fotografie che vengono pubblicate sulla rivista Il Mondo.
Si dedica alla fotografia documentando la vita e le realtà del Sud Italia.


Negli anni ’50 fu fondamentale l’incontro con un fotoreporter, Plinio De Martilis, con cui detterò vita ad una cooperativa di fotografi che prendeva come modello quello della Magnum Photos fungendo da agenzia fotografica internazionale. Con loro si consolidò un gruppo di fotografi che divenne poi famoso con il nome di “scuola romana”.


Nel 1953 inizia una intensa attività fotografica nel campo del fotogiornalismo (e smetterà nel 1990) dopo aver lasciato l’Università e mentre incominciava ad impegnarsi politicamente nel partito comunista collaborando con i giornali del suo sindacato CGIL.


Viaggia in Cina come inviato del settimanale “Vie Nuove”. Nella Cina di Maio Zetong nel 1959 fa un grande reportage e diventa l’unico fotoreporter occidentale in Cina dopo Henri Cartier-Bresson.
Nel 1990 cessa la sua attività di fotoreporter perché, dichiarò durante un’intervista, “mi sono stancato”.
Ha 91 anni Garrubba muore a Spoleto dove risiedeva già da tempo.

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Elliott Erwitt

Elliott Erwitt

Elliott Erwitt nasce a Parigi nel 1928 da genitori ebrei di origini russe. Passò la sua infanzia a Milano fino al 1939 poiché si trasferisce negli Stati Uniti con la famiglia per fuggire alle leggi razziali.

Nei suoi lavori riesce a cogliere nella quotidianità una certa ironia con accostamenti paradossali ma che allo stesso tempo riesce a mostrare gli spaccati seri della società. Spesso fotografa cani, o situazioni in cui ci sono, non perché, a detta sua, gli piacessero particolarmente ma perché hanno un atteggiamento naturale e irriverente che è proprio perfetto al suo scopo di documentazione ironica.

Trascorre la sua adolescenza ad Hollywood dove inizia ben presto a lavorare nella camera oscura di uno studio fotografico per poi iscriversi ad un corso di fotografia al Los Angeles City College. Continua gli studi ma in cinema alla New School of Social Research di New York.
La sua fedele fotocamera era una Rolleiflex che lo accompagna anche in Italia e in Francia.


A New York conosce Robert Capa, Edward Steichen e Roy Stryker e la sua carriera prende una svolta. Entra a far parte della Agenzia Magnum nel 1953 collaborando anche con riviste prestigiose come Life. Diventò, alla fine degli anni 60, anche presidente per tre anni della Agenzia Magnum.
Elliott Erwitt cerca di immortalare l’ironia legata alla popolazione più che le problematiche così da dare uno sguardo diverso dal solito sulla vita quotidiana.

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