Garry Winogrand

Garry Winogrand

Garry Winogrand nato a New York il 14 Gennaio 1928 e morto a Tijuana (Messico) il 19 Marzo 1984.
Le sua era una famiglia molto umile di origine ebraica e abitavano nel Bronx, Il padre era conciatore di pelli e la madre sarta.

Durante il servizio militare si appassiona alla fotografia e decide di studiare presso la Columbia University di New York pittura e fotografia. Contemporaneamente ai suoi studi frequenta un corso di fotogiornalismo alla New School for Social Research tenuto da Alexey Brodovitch (un designer, fotografo e direttore artistico russo).


Negli anni 50 vince de borse di studio della Guggenheim Foundation che gli permettono di lavorare come freelance. In questo periodo cerca di concentrare il suo lavoro sulle strade e nella vita di New York ed altre città americane.

Nel suo lavoro riesce a raccogliere 300 mila immagini di vita quotidiana degli americani dove si evincono anche contraddizioni sociali e la vita caotica. Infatti è proprio la vita caotica ad interessare Winogrand che riesce a riorganizzare in immagini di sorprendente caos / ordinato.

Nel 1963 è stata organizzata una esposizione al Moma di New York che riesce a consacrarlo come grande artista quale era.

Purtroppo si ammala di un tumore alla colecisti che lo porta alla morte nel 1984 a soli 56 anni. Anche se la sua vita è finita presto riesce a lasciare un grandissimo archivio di immagini, con molte mai sviluppate. Alcune di queste fotografie mai sviluppate sono state, successivamente, raccolte, esposte e pubblicate in volume dal titolo Winogrand, Figments from the Real World dal Moma.


Credo che la street photography sia un tipo di fotografia molto particolare dove ci vuole un mix di empatia, curiosità, voglia di denuncia, essere impertinenti e sfrontati e anche un po di coraggio. Non è assolutamente facile girare per strada con una fotocamera e scattare fotografie a persone comuni senza che loro non se ne accorgano. Questo lato della street mi ha sempre intimorito e credo che per riuscire a fare delle grandi foto bisogna avere un carattere davvero sfrontato e senza paura. Chiunque abbia provato a fare delle foto per strada credo che possa capire la mia affermazione. In conclusione Garry Winogrand è stato uno dei protagonisti indiscussi della street photography americana.

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Programmi di scatto

Programmi di scatto

Ogni fotocamera ha i suoi programmi di scatto, che normalmente sono sempre gli stessi, anche sui diversi marchi. Le fotocamere professionali hanno solo i programmi manuali che io chiamo semplicemente MASP (M – A – S – P).

I programmi automatici sono preset interni alla fotocamera creati per dar modo ad ognuno (soprattutto i dilettanti) di fare delle buone foto in ogni condizione. I più comuni sono: Auto, Panorama, Ritratto, Macro, Sport, Ritratto Notturno e poi ci sono quelli manuali.

Analizziamo velocemente cosa occorre per creare una fotografia. Il famoso Triangolo dell’esposizione (di cui ho parlato in questo articolo) cioè i tre valori necessari per una fotografia: apertura del diaframma, tempo di scatto e sensibilità. Prima di scattare una foto, pensando in manuale, dobbiamo sapere che tipo di diaframma vogliamo utilizzare e, analizzando la luce presente nella scena, impostiamo un valore di sensibilità adatto e infine scegliamo (con l’aiuto dell’esposimetro) il tempo di scatto. Così avremo una fotografia correttamente esposta. Nei programmi di scatto automatici tutto questo lo imposta la fotocamera sapendo, in base al programma scelto, che cosa vogliamo fotografare e imposta i valori facendo in modo di darci una fotografia perfetta per quella scena. Certo questo ci aiuta, se non siamo esperti della fotografia, volendo utilizzare delle fotocamere di buon livello e abbiamo un giusto budget.

Ma la vera fotografia è avere controllo su tutto cercando di arrivare ad un risultato finale da noi desiderato. Quindi analizziamo i programmi di scatto manuali per capire quale potrebbe essere quello giusto per le nostre esigenze. M sta per Manual cioè la fotocamera dice: pensaci tu io non ho controlli, se la foto viene male sono problemi tuoi :). A sta per Aperture che in inglese significa diaframma e si chiama Priorità di Diaframma. In questo programma la fotocamera ci dice: tu scegli il diaframma ed io scelgo il tempo di scatto. S (Speed) è il programma che si chiama Priorità di Tempo dove noi impostiamo il tempo di scatto e la fotocamera imposta il diaframma. P è Program cioè un programma automatico / manuale dove la fotocamera sceglie il tempo e il diaframma. In tutti questi programmi di scatto manuali abbiamo il controllo manuale su tutte le impostazioni della fotocamera, due fra tutte il modo del flash e la sensibilità ISO che nei programmi automatici di solito non può essere impostata manualmente.

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Lee Friedlander

Lee Friedlander

Lee Friedlander è nato a Aberdeen (Washington) il 14 Luglio 1934.

Un grande artista statunitense della street photography ma più in particolare per le foto glamour e di artisti della musica e dello spettacolo. A detta di tutti una persona particolarmente gentile e a modo cosa che lo ha sempre contraddistinto. L’interesse per la fotografia nasce già da bambino a 14 anni.

Nel 1956 Lee Friedlander va a Los Angeles studiando per un breve periodo all’ Art Centre School. Nello stesso anno si trasferisce a New York ed inizia la sua carriera fotografando musicisti da copertina per la casa discografica Atlantic Records, concentrandosi di più sugli interpreti di musica Jazz e Blues. Le sue collaborazioni principali di quel periodo, che lo hanno fatto diventare uno dei più importanti fotografi della musica, sono state: Duke Ellington, John Coltrane, Charles Mingus, Ray Charles, Aretha Franklin e Ruth Brown. Si dedica, in questo periodo, allo studio della fotografia in bianco e nero e inizia a sperimentare le foto di nudo. Collabora come freelance con riviste importanti come Collier’s, Sport Illustrated e McCall’s.


Gli anni ’60 sono gli anni in cui riesce a stringere molte amicizie importanti, nell’ambito della fotografia, come quella con Diane Arbus, Robert Frank e Garry Winogrand con cui parlerà molto della loro passione comune condividendo le riflessioni.
Winogrand è l’artefice dell’entrata nel mondo della street photography di Friedlander.

Cercando la sua forma espressiva gira per le strade di New York incontrando tanti cambiamenti della società che però documenterà fotografando soggetti semplici. Sulle orme di Robert Frank e Walker Evans gira gli Stati Uniti facendo diventare il materiale principale dei suoi viaggi i luoghi e le persone che incontrava.

La prima mostra personale di Lee Friedlander è stata esposta nel 1963 al Museo Internazionale di Fotografia presso la George Eastman House.


Nel 1967 al Museo di Arte Moderna a New York ci fu una rivoluzionaria esibizione chiamata New Documents curata da John Szarkowski (curatore e studioso del Museo) e Friedlander fu incluso.
Lee espose 30 fotografie con soggetti luoghi urbani e vennero esibite insieme a quelle di Winogrand e Arbus così da far avere una grande svolta nelle loro carriere.


Sul numero di Settembre 1985 di Playboy appaiono alcune fotografie di Friedlander della popstar Madonna, che all’epoca era una studentessa, in bianco e nero. Una di queste immagini fu battuta all’asta, successivamente, dalla casa Christie a 37.500 dollari.
Ha utilizzato per molto tempo una Leica 35 mm.


Cercando di trovare un suo stile unico utilizza immagini riflesse di diversi oggetti quotidiani come ad esempio, vetrine di negozi o specchi di varie dimensioni.


Nel 1990 cambia la sua Leica 35mm con una Hasselblad Superwide così da poter avere delle immagini molto più nitide e dettagliate. Superwide si riferiva all’ottica grandangolare con cui la macchina era equipaggiata e la trovò subito molto più appropriata per il suo tipo di fotografia permettendogli di scattare foto dei paesaggi americani come quelle presenti in The Desert Seen del 1996.


Durante la sua carriera Friedlander vinse numerosi premi di prestigio. Alcuni di essi sono: tre borse di studio della Guggenheim Foundation (1960, 1962, e 1977), quattro finanziamenti da parte del National Endowment for the Arts (1977, 1978, 1979, e 1980), una medaglia Edward MacDowell (1986), French Chevalier of the Order of Arts and Letters (1999), un “finanziamento per il talento ingegnoso” da parte della MacArthur Foundation (1990), nel 2005 il MOMA gli ha dedicato una grande retrospettiva, che raccoglieva gli scatti dal 1950 a oggi, e nello stesso anno ha ottenuto il Premio Internazionale Hasselblad.

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Triangolo dell'esposzione

Esposizione ed Esposimetro

Esposizione ed esposimetro

In questo articolo vi spiegherò la gestione dell’esposizione e dell’esposimetro.

Una veloce introduzione

Fotografia etimologicamente significa scrivere con la luce. Questo concetto è importante perché ci fa capire che senza luce non potremo avere una fotografia…ok questo è un concetto semplicissimo che avrei potuto anche evitare :). La luce ha bisogno di essere compresa soprattutto quella naturale che ci permette, se usata bene, di fare delle buone fotografie. Ho detto buone fotografie? Beh adesso dobbiamo aprire un discorso sul che cosa significa “buone”. Sono dell’opinione che se parliamo di fotografia artistica non esiste un termine che possa essere una “buona” foto ma più che altro potremo dire così: “una fotografia artistica è l’estensione dell’occhio del fotografo con la sua sensibilità e il suo estro”. Quindi il concetto di “buona” foto lo potremo intendere solo nella fotografia tecnica. Avremo una “buona” foto quando i parametri di scatto sono giusti per dare una corretta esposizione all’immagine.

Triangolo dell’esposizione

triangolo dell'esposizione


In fotografia ci sono tre valori che ci permettono, se impostati correttamente, di fare una fotografia con una giusta esposizione e sono: apertura del diaframma, tempo di scatto e sensibilità ISO. Questo è comunemente chiamato il triangolo dell’esposizione. Quindi dobbiamo imparare ad utilizzare questi tre valori per poter creare una “buona” foto (in questo caso è giusto il termine visto che stiamo parlando di tecnica fotografica). Il primo fattore, l’apertura del diaframma, è abbastanza semplice da capire perché se abbiamo un diaframma più aperto (ad es. f2.8) entrerà più luce nella fotocamera mentre al contrario quando il diaframma è chiuso (ad es. f32) la luce che arriverà al materiale fotosensibile sarà poca. Il discorso apertura del diaframma si complica perché quando variamo l’apertura andiamo a modificare anche la profondità di campo che a questo importantissimo aspetto della fotografia ho trattato un intero articolo che potrete trovare a questo link.
Invece il tempo di scatto è una frazione di secondo in cui lo specchio e la tendina dell’otturatore si aprono e si chiudono (se parliamo di fotocamere senza specchio come le mirrorless sarà la velocità di apertura e chiusura della tendina dell’otturatore). In tutte le fotocamere (che hanno la possibilità di impostare un programma di scatto manuale) si possono impostare i tempi che partono da 30 secondi ed arrivano fino a 1/4000 (8000 e oltre nelle fotocamere più performanti). Bene fin qui tutto chiaro, ma come scegliamo il tempo di esposizione?

Esposimetro

A questo scopo abbiamo un grande aiuto, l’esposimetro. L’esposimetro è un chip fotosensibile che, tramite una scala presente all’interno del mirino, ci dice che tempo dobbiamo utilizzare con quella apertura del diaframma e la sensibilità ISO scelta. La Treccani ci dice che l’esposimetro è: ”Apparecchio usato in fotografia e in cinematografia per misurare l’illuminamento del campo da riprendere e l’intensità di eventuali sorgenti luminose che siano presenti in esso, e ottenere così l’indicazione dell’apertura del diaframma da far corrispondere a un dato tempo di esposizione, relativamente alla sensibilità dell’emulsione della pellicola, perché questa risulti esposta correttamente”. Mi piace semplificare sempre le cose quindi cerchiamo di capire facilmente come funziona un esposimetro e cosa ci dice. È uno strumento che legge la condizione di luce presente nella scena e ci dice che tipo di diaframma e tempo dobbiamo utilizzare, a quella determinata sensibilità, per avere una fotografia correttamente esposta.

Tipi di esposimetro

esposimetro nella macchina fotografica

Esistono diversi tipi di esposimetri esterni da quelli analogici a quelli digitali e per scopi dilettantistici e per scopi professionali. Questi tipi di esposimetro sono utilizzati posizionandoli all’interno della scena, o vicino al soggetto da fotografare, con la luce che vogliamo utilizzare e tramite una cellula fotosensibile ci da il risultato della misurazione. L’esposimetro esterno alla fotocamera ha un utilizzo di nicchia perché non è necessario averne uno esterno per poter fare delle buone fotografie.

Ma non preoccupatevi perché la fotocamera ci viene in aiuto in quanto al suo interno a livello del pentaprisma è posizionato un esposimetro. Certo la differenza tra uno interno alla fotocamera ed uno esterno è che quest’ultimo può leggere la luce direttamente nella scena o sul soggetto quindi avrà una misurazione molto più precisa.

Misurazione esposimetrica

Ho parlato di misurazione? Ed ora che cosa è questa misurazione? É il modo in cui l’esposimetro legge la luce. Esistono tre diversi tipi di misurazioni generalmente: Matrix, semi-spot e spot.

misurazione esposimetrica

La Matrix, o potremo chiamarla automatica, legge tutta la scena inquadrata e fa una media ponderata di tutto e ci permette di esporre in modo da evitare (nel caso di forti contrasti tra luci ed ombre) toni troppo scuri (nelle ombre) o troppo chiari (nelle luci), questo lo ha studiato Ansel Adams che con il suo Sistema Zonale è ancora studiato nella scuole di fotografia.

Nella misurazione Semi-Spot la lettura avviene solo nella zona centrale dell’immagine, nel caso al centro ci sia una zona più scura tutto il resto verrà sovraesposto (con più luce) mentre se ci sarà più luce sarà sottoesposto (poca luce).

Invece nella misurazione Spot (quella che io utilizzo di più) viene letta la luce solo sul punto di messa a fuoco che abbiamo scelto, infatti questo tipo di utilizzo della misurazione può avvenire solo quando scegliamo, sulla fotocamera, il punto AF singolo. Le immagini di seguito mostrano la differenza delle tre misurazioni fotografando un panorama dove ci sono zone più scure e zone più chiare come il cielo.

Come fa l’esposimetro a dirci tutto questo?

esposizione ed esposimetro - esposimetro nel mirino della fotocamera


Ma come fa l’esposimetro a dirci queste cose? Guardando nel mirino della fotocamera troviamo nella parte inferiore una scala con un + e un – e uno 0 al centro. Una volta scelto il diaframma e la sensibilità ISO da utilizzare dovremo girare la rotella dei tempi facendo in modo che nella scala (nel mirino) non ci siano lineette ne a destra ne a sinistra. Una volta fatto questo avremo la certezza di avere una scena correttamente esposta. L’esperienza ci porterà poi ad andare anche oltre perché come spiega Adams nel suo Sistema Zonale a volte c’è bisogno di avere dei tempi leggermente più lenti (sovra esposizione) o più veloci (sotto esposizione) per avere una maggiore gestione dei toni quando ci sono forti contrasti di luce.
Questo è quello che bisogna sapere poi però, come tutto in fotografia, con l’esperienza si può andare oltre e gestire in modo differente la propria foto.

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Robert Capa

Robert Capa

Robert Capa pseudonimo di Endre Ernõ Friedmann nasce a Budapest il 22 Ottobre 1913 muore, saltando su una mina, nella provincia di Thai Binh (Vietnam) il 25 Maggio 1954.
Tra il 1931 e il 1933 studiò scienze, presso l’Università di Berlino, ma poi dovette lasciare la Germania a causa delle suoi origini ebraiche.
Inizia i primi passi nella fotografia da autodidatta fino a che non decide di trasferirsi a Parigi e diventa fotografo freelance.


È stato uno dei più grandi fotografi di guerra e i suoi reportage hanno documentato cinque diversi conflitti bellici: la Guerra Civile Spagnola (1936-39), la Seconda Guerra Sino-Giapponese (che seguì nel 1938), la Seconda Guerra Mondiale (1941-45), la Guerra Arabo-Israeliana (1948) e la Prima Guerra in Indocina (1954).


Riesce a documentare lo sbarco in Normandia dell’esercito alleato, gli americani in Sicilia e la liberazione di Parigi questi eventi lo hanno reso parte della storia e dato visibilità ad un grande fotografo come egli era.


Diventa molto famoso durante la Guerra Civile Spagnola grazie alla foto “Il Miliziano colpito a morte” anche se ancora oggi se ne discute la autenticità. Secondo alcuni la foto sarebbe stata montata ad arte dallo stesso Capa e quindi le circostanze dello scatto non sarebbero veritiere.

Ma lui si difende dando particolari precisi dei momenti che lo hanno portato allo scatto raccontando questo: “Ho scattato la foto in Andalusia mentre ero in trincea con 20 soldati repubblicani, avevano in mano dei vecchi fucili e morivano ogni minuto. Ho messo la macchina fotografica sopra la mia testa, e senza guardare ho fotografato un soldato mentre si spostava sopra la trincea, questo è tutto. Non ho sviluppato subito le foto le ho spedite assieme a tante altre. Sono stato in Spagna per tre mesi e al mio ritorno ero un fotografo famoso, perché la macchina fotografica che avevo sopra la mia testa aveva catturato un uomo nel momento in cui gli sparavano. Si diceva che fosse la miglior foto che avessi mai scattato, ed io non l’avevo nemmeno inquadrata nel mirino perché avevo la macchina fotografica sopra la testa”.

Nel 1947 fonda la Agenzia Magnum Photos insieme a Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger e William Vandivert.


Anche in tempo di pace ha fotografo, raccontando la vita decadente dei ricchi europei. Ha anche ritratto la vita dei più grandi artisti della sua epoca.


Il suo motto era “Se le tue foto non sono buone, vuol dire che non sei abbastanza vicino” ed intendeva che il reportage doveva essere fatto all’interno dell’azione. Capa cerca di limitare al minimo i filtri che possono esserci tra soggetto e fotografo ed completamente immerso nell’azione.
Robert Capa ha vissuto una intensa vita fatta di lavoro e di pericolo che però lui non disdegnava, era una persona sicura di se che amava le donne e le grandi bevute.

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La fotografia più famosa e controversa – Il miliziano colpito a morte

Seconda Guerra Mondiale – Gli alleati in Sicilia

D-Day – Sbarco in Normandia

Pablo Picasso inseime a sua moglie e suo nipote

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David Alan Harvey

David Alan Harvey

David Alan Harvey è nato il 6 Giugno 1944 a san Francisco.
Scopre la fotografia, a 11 anni, nel 1956 quando acquista una Leica usata risparmiando dai soldi guadagnati dalla consegna di giornali. In questa fase iniziale scatta fotografie alla famiglia e al vicinato così inizia a prendere dimestichezza con i mezzi fotografici e imparare la tecnica.

In America, quando compie 20 anni, è molto presente la segregazione razziale e quindi si sposta a Norfolk (in Virginia) dove inizia a scattare fotografie alle famiglie di colore documentandone la vita.

Il suo stile è influenzato, e lo sarà per tutta la sua vita, dallo studio dell’arte e soprattutto dai pittori impressionisti francesi.


Alla fine del suo percorso scolastico di giornalismo nel Missouri, si dedica interamente al lavoro personale e a quello del National Geographic per il quale scatterà tantissime fotografie in giro per il mondo.


Nel 1978 è premiato come fotografo dell’anno e questo gli permette anche l’ammissione alla Agenzia Magnum nel 1977.
Riesce a viaggiare spesso, sia per lavoro che per divertimento, e questo gli permette di cogliere la realtà sotto diverse prospettive e questo si rivedrà poi nei suoi scatti.


Per cercare di cogliere la realtà, e la verità, si mette spesso in situazioni molto complicate e pericolose. Per scattare fotografie ai narcotrafficanti, ai gangster o in qualche zona malfamata dell’America Latina si mescola a questi personaggi perché secondo lui la realtà va vissuta per essere ben espressa.


Il suo amore per la vita si rivela ad ogni suo scatto enfatizzando l’umanità dei soggetti fotografati. Se vogliamo potremo dire che David Alan Harvey è un romantico della fotografia realista.

Per quanto riguarda lo stile fotografico non se ne occupa più di tanto perché, tornando agli impressionisti, egli sostiene la supremazia del contenuto sulla forma.
Per Harvey non conta la foto singola ma più che altro il reportage (progetto) fotografico con cui si possa raccontare una storia di un luogo o di una popolazione. Infatti i suoi più famosi lavori sono reportage.

Nel libro “Tell it like it is” viene raccontata la storia di una famiglia afroamericana, i Leggins, molto disponibile che Harvey segue per un mese. Erano una famiglia, del ghetto di Norfolk, con 7 figli. Questo progetto, innovativo e coraggioso per l’epoca, gli da la prima notorietà e inizia a lavorare con continuità con National Geographic.


30 anni dopo, proprio per National Geographic, Harvey realizza uno dei suoi servizi più importanti, quello dell’isola di Cuba. All’epoca, negli anni 90, Cuba era ancora una dittatura chiusa al mondo esterno. Harvey scatta girovagando tra i quartieri più poveri, partecipando alle feste e vivendo la vita quotidiana con le persone del luogo.


Ci sono tantissimi lavori su cui parlare su questo grandissimo fotografo ma ho scelto volutamente di fermarmi perché abbiamo compreso il suo animo ma non è detto che amplierò questo articoli o altri su di lui.

Per chiunque voglia espandere la conoscenza su Harvey può studiarlo attraverso i libri a lui dedicati che potete trovare in alcuni link alla fine dell’articolo.

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Peter Lindbergh

Peter Lindbergh

Peter Lindbergh pseudonimo di Peter Brodbeck è nato a Leszno (in Polonia) il 23 Novembre 1944 ed è morto a Parigi il 3 Settembre 2019.

È considerato uno dei fotografi contemporanei più influenti nell’estetica della fashion photography.

Da ragazzo lavora, Peter Lindbergh, come vetrinista per i grandi magazzini Karstadt e Horten in una città tedesca dove trascorre la sua giovinezza. La sua famiglia, vivendo in una zona della Germania vicina ai Paesi Bassi, trascorre spesso le vacanze estive sulla costa olandese nella zona di Noordwijk. Quindi i paesaggi ricorrenti nel suo immaginario sono le ampie e vaste spiagge e gli ambienti industriali.

All’inizio degli anni sessanta Peter Lindbergh si trasferisce in Svizzera, a Lucerna, per poi trasferirsi a Berlino dove si iscrive alla Accademia della Belle Arti.
Il suo idolo tra i grandi artisti della pittura è Vincent Van Gogh. Alla ricerca del suo idolo viaggia molto e visita Spagna e Marocco trascorrendo due anni in viaggio.


Di ritorno dal suo viaggio si trasferisce in Germania e frequenta il College of Art di Kunsthochschuke di Krefeld. Prima di laurearsi, influenzato dall’arte concettuale studiata, è invitato, nel 1969, a presentare i suoi primi lavori alla Galerie Denise René.


Nel 1971 si trasferisce a Düsseldorf e lavora come assistente fotografo dal tedesco Hans Lux, per poi aprire successivamente, nel 1973 il suo studio.

Nel 1978 si trasferisce a Parigi e si concentra sulla fotografa di moda, in quel periodo fotografa molte top model e attrici come Christy Turlington, Kate Moss, Naomi Campbell, Monica Bellucci, Linda Evangelista, Eva Herzigova, Cindy Crawford, Staphanie Seymour, Isabella Rossellini, Kate Winslet, Natassja Krinski e Tatiana Patiz. I suoi lavori sono apparsi spesso nel magazine Vogue e nelle riviste come Marie Claire, Interview e Harper’s Bazaar.
Le sue collaborazioni continuano con Vanity fair, Allure, Rolling Stone e The New Yorker.


Negli anni 90 e oltre si afferma definitivamente a livello mondiale come uno dei più grandi e influenti fotografi di moda.

Lindbergh è stato uno dei primi fotografi a introdurre brevi testi nei suoi editoriali di moda.


Il primo libro con il titolo “10 Women” nel 1996 è stato un vero best seller con 100.000 di copie vendute. Nel 1997 viene pubblicato “Images of Women” che offre una retrospettiva completa sui ritratti che Lindbergh aveva scattato negli ultimi 10 anni.


La fotografie di Lindbergh sono attualmente parte di diverse collezioni permanenti in molti musi d’arte in tutto il mondo.

Nel 1995 e nel 1997 è stato nominato il miglior fotografo agli International Fascion Awards di Parigi.
Nella sua ricerca artistica fa un largo uso del bianco e nero in quanto pensa che scattando in questo modo si acquisisce una drammaticità realistica in grado di neutralizzare il fine commerciale della comunicazione visiva, esaltando la personalità dei soggetti immortalati.


Quello che voleva far capire è che attraverso l’uso della fotografia in bianco e nero si possa arrivare a rappresentare un piccolo passo in più verso l’arte.
Bisogna anche dire che Lindbergh ha evitato quanto più possibile, nei suoi lavori, il fotoritocco e la post produzione perché voleva documentare la reale bellezza dei soggetti fotografati.

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Ansel Adams

Ansel Adams

Ansel Adams è nato a San Francisco il 20 Febbraio 1902 ed è morto a Carmel-by-the-Sea in California il 22 Aprile 1984.


È considerato uno dei fondatori della fotografia paesaggistica ed è famoso per le sue fotografie in bianco e nero dei parchi nazionali americani.
All’età di 14 anni avviene il punto di svolta nella sua carriera di fotografo visitando il parco nazionale di Yosemite con una Kodak Brownie fotografando i paesaggi.

Kodak Brownie dalla mia collezione


Dopo tante vicissitudini negative si iscrive ad un gruppo ambientalista, il Sierra Club, che organizza gite annuali per i proprio soci. In queste gite Ansel Adams scatta tantissime fotografie imparando giorno dopo giorno ad acquisire una sempre maggiore praticità con la tecnica fotografica.


Nel 1926 conosce Albert Bender (chiamato “l’acquirente più attivo del lavoro degli artisti californiani” la Stanford University e il Mills College hanno una sala a lui dedicata nella biblioteca), un amico e finanziatore del suo primo progetti chiamato “Parmelian Prints of the High Sierra” che gli permetterà di guadagnare i suoi primi 4000 dollari. In questo progetto Adams riesce a dare il suo tocco, quasi pittoresco, insinuandosi nel paesaggio a piccoli passi senza però mai stravolgerlo.

Negli anni successivi viene ufficializzato come membro attivo del Sierra Club e questo farà in modo che non lo abbandonerà mai, infatti spesso è capo organizzatore di visite.

Nel 1932 fonda un gruppo chiamato f/64 (nome che richiama dichiaratamente la più stretta apertura del diaframma in fotografia), il nome è dato dalla tecnica fotografica che permette di avere tutto a fuoco nella immagine scattata ed è anche una tecnica particolarmente impegnativa utilizzata nei paesaggi. Lo scopo di questa organizzazione era di cercare di riunire tutti gli esponenti della straight photography (scattare immagini senza dare una manipolazione o una post produzione cercando di lasciare invariate le condizioni in cui è stata scattata la fotografia) come John Paul Edwards, Preston Holder, Alma Lavenson e Consuelo Kanaga.


Ansel Adams cerca, durante il suo lavoro, di documentare la natura così come si mostra agli occhi degli osservatori. Questo vuole essere un modo per poter conservare la bellezza della natura andando contro alle speculazioni edilizie e alla inciviltà dell’uomo.

I suoi lavori in Sierra Nevada hanno portato anche ad una cosa molto importante. Nel 1940 con il suo libro fotografico intitolato “Sierra Nevada: The John Muir Trail” riesce a fare eleggere il parco Sequoia and Kings Canyon a parco nazionale.

Adams è studiato ancora oggi nelle scuole di fotografia anche per l’invenzione del “sistema zonale” (se ne parla nel libro “il negativo”)una tecnica nata per la fotografia in bianco e nero che può essere utilizzata, ancora oggi, sia con la fotografia analogica che digitale. Questo sistema prevede lo studio dell’esposizione per sviluppare tutta la sfera di toni in modo che tutta la scena sia perfettamente esposta.


Tra le tante onorificenze conseguite nella sua vita la più importante arriva nel 1980 quando il Presidente degli Stati Uniti lo premia con la medaglia presidenziale della libertà.

Il pensiero di Ansel Adams sulla fotografia è di cercare una fotografia ben fatta, anche se questo costringe a “perdere tempo”, infatti lui non amava nessun tipo di elaborazione e quindi partiva da una foto tecnicamente perfetta che poi sviluppava senza modifiche.


Adesso arriva una mia riflessione: il modo di scattare di Adams è quello che ho cercato per tutta la mia vita fotografica, scattare una buona foto senza pensare allo sviluppo successivo. Adesso è molto facile scattare in digitale, perché si possono fare tante fotografie per poi vedere quale è quella riuscita meglio e svilupparla dando anche, in fase di post produzione, un’enfasi allo scatto. Io credo molto nel pensiero di Adams, scattare meno possibile ma bene.

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Steve McCurry

Steve McCurry

Steve McCurry è nato il 23 Aprile 1950 in Pennsylvania in un piccolo sobborgo di Filadelfia. Ha studiato alla Penn State University fotografia e cinema però poi si laurea in teatro nel 1974.

La sua carriera ha preso il volo quando nel 1979 attraversa il confine tra Pakistan e Afghanistan, prima dell’invasione sovietica, con abiti tradizionali e con molti rotoli di pellicola nascosti tra gli abiti. Fu quella l’occasione per Mc Curry di far vedere al mondo le immagini del conflitto e in quella occasione vince anche il Robert Capa Medal for The Best Photographic Reporting from Abroad che è un premio dato ai fotografi che si sono distinti per l’eccezionale coraggio delle loro imprese documentative.

Quando si parla di immagini di conflitti nel mondo di solito si pensa a lui perché ne ha seguiti davvero tanti. Quello che cerca di fare è di dare voce alle vittime della guerra, i civili, che anche se non sono morti ma hanno molte problematiche che gli impediscono di vivere una vita tranquilla.

Questo cercare di trovare le immagini che possano raccontare, secondo gli occhi della popolazione, le problematiche della guerra credo sia un ottimo modo di cercare di far capire ai Grandi del mondo che la guerra non ha vittime solo tra i soldati vinti e vincitori ma soprattutto fra le persone comuni che vorrebbero vivere una vita serena e normale ma che a causa di tutto ciò gli viene impedito.

C’è un pensiero che ci fa ben capire questo concetto che McCurry ha detto: “La maggior parte delle mie foto è radicata nella gente. Cerco di trasmettere ciò che può essere una persona colta in un contesto più ampio che potremmo chiamare la condizione umana. Voglio trasmettere il senso viscerale della bellezza e della meraviglia che ho trovato di fronte a me, durante i miei viaggi, quando la sorpresa dell’essere estraneo si mescola alla gioia della familiarità”.

Steve McCurry è famosissimo anche per la fotografia della ragazza Afghana, che è stata copertina del National Geographic, che è un’icona per tutto il mondo. Attraverso l’uso di una perfetta tecnica e l’utilizzo della luce in modo artistico, rende il colore uno straordinario modo di comunicazione. I colori molto vivaci fanno da sfondo e contrasto ad un mondo pieno di povertà e problematiche, ecco questo è quello che McCurry ci dice durante i suoi lavori: “Guardate cosa succede alle popolazioni colpite da povertà e guerra”. Secondo la sua visione: “Un fotografo deve immergersi nella realtà e nel contesto di quello che vuole raccontare”. Quindi lui si butta a capofitto in questa idea e vive nei luoghi che decide di raccontare per settimane in attesa di avere un feeling con il posto e con le persone, in modo che lui fosse una persona familiare e che la sua fotocamera diventi una normale compagna di vita quotidiana per tutti.

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Ragazza Afghana – una delle più famose fotografie del mondo 1984

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Profondità di campo

Profondità di campo

Sul sito Treccani la Profondità di campo viene spiegata in questo modo: ”è la distanza tra il punto più vicino e il punto più lontano (rispetto all’apparecchio di ripresa) della scena inquadrata che appaiono nitidi sul piano focale e quindi sulla pellicola”.


Di solito cerco sempre di evitare “paroloni” e faccio in modo di snellire e semplificare gli argomenti che tratto quindi io traduco così la definizione “quanto sfuocato troviamo tra un soggetto principale e uno secondario”.

La profondità di campo può essere maggiore se vogliamo una scena quasi totalmente a fuoco e minore quando vogliamo uno sfuocato tra il primo e gli atri soggetti.
Essa è influenzata da tre fattori: il diaframma, la distanza dal soggetto e la lunghezza focale.
Il diaframma è un componente presente all’interno dell’obiettivo composto da lamelle che aprendosi e chiudendosi variano la larghezza, se facciamo un ragionamento empirico possiamo dire che: più il diaframma è aperto e maggiore luce arriva al materiale sensibile (che sia essa una pellicola o il sensore digitale) e se è chiuso invece ne arriva poca. Perché ho detto “ragionamento empirico”? In realtà è effettivamente così ma il problema non è la luce che entra in macchina ma cosa succede al variare della apertura del diaframma. Più il diaframma è aperto e trovereme nella scena una minore profondità di campo, cioè uno sfuocato mentre se è più chiuso sarà il contrario ciò una scena a fuoco o comunque più a fuoco (esempio pratico: f2.8 molto aperto e più sfuocato, f9 un diaframma medio e abbiamo meno sfocato mentre un diaframma chiuso come per esempio f22 la scena sarà quasi totalmente a fuoco).

Mentre il secondo fattore la distanza dal soggetto influenza lo sfuocato in quanto più si è distanti dal soggetto fotografato e maggiore profondità di campo abbiamo (cioè più a fuoco) mentre al contrario se siamo più vicini abbiamo più sfuocato, questo a parità di apertura del diaframma.


L’ultimo fattore è la lunghezza focale dell’obiettivo utilizzato. Vi starete domandando, ed ora che cosa è questa lunghezza focale? Niente di più semplice, la lunghezza focale è la distanza tra il centro ottico di un obiettivo e il materiale sensibile. Questa misura si legge sugli obiettivi, infatti abbiamo obiettivi con lunghezze disparate che vanno dai 18mm ai 300mm. Certo detta così è davvero troppo semplicistico come ragionamento ma gli obiettivi e il loro funzionamento saranno trattati in questo articolo.

Per quanto riguarda la profondità di campo e la grandezza del sesnore posso dirvi che, a parità di diaframma utilizzato, con un sensore di maggiori dimensioni avremo una minore profondità di campo (quindi più sfuocato). Quindi potremo dire che la profondità di campo è inversamente proporzionale alla dimensione del sensore.


Faccio un esempio così è possibile comprendere meglio l’utilizzo della profondità di campo: nelle foto che vedete sono stati utilizzati tre diversi tipi di diaframma ma con uguale distanza dal soggetto così da poter comprendere cosa succede con i diversi tipi di diaframma.

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