Per fotografare contro sole bisogna avere bene in testa la tecnica fotografica. Se vogliamo che il sole diventi come fosse una stella, con tutti i raggi che si estendono dal suo centro, bisognerà chiudere più possibile il diaframma.
Pensandoci è semplice la comprensione del concetto di fotografare contro sole. Quando una fonte di luce passa attraverso un piccolo foro, per arrivare al materiale fotosensibile avrà uno “sventagliamento” che porta al fenomeno del sole come una stella.
Quindi chiudendo al massimo il diaframma, la luce deve entrare in un piccolo foro e “apririsi” per arrivare al sensore o al materiale fotosensibile.
Certo questa è una grandissima semplificazione e ci sono tantissimi studi sulla luce in base a questo fenomeno, ma a me piace essere semplice. Questo è quello che bisogna sapere in base al diaframma.
Invece le altre impostazioni sono il tempo di scatto e la sensibilità ISO. La sensibilità ISO dovrà essere la minima disponibile sulla fotocamera (normalmente 100). Il tempo di scatto sarà molto veloce in quanto avremo molta luce nella scena. Ma attenzione a non esagerare perchè la foto potrebbe poi avere solo un puntino bianco (il sole) e sarà tutta nera.
In questo caso l’esposimetro ci dice che una foto correttamente esposta avrà bisogno di una velocità elevata di scatto, ma facendo così avremo l’effetto che vi ho detto prima, una foto nera con un punto bianco. Una buona idea è quella di utilizzare la lettura esposimetrica Spot e mettere il punto di messa a fuoco su una zona in ombra. Così l’l’esposimetro leggerà meno luce di quella presente. Ma in questo tipo di foto non c’è un modo giusto o sbagliato. Quindi quale è il trucco? Andare a “sensazione” (come si direbbe dalle mie parti)…cerco di spiegarmi meglio. Se inquadrando la scena l’esposimetro (con lettura Matrix) ci dice di dpver scattare con un tempo di 1/2000s, io scendo fino a 1/1000s così avrò una scena meno “nera”. Ho detto che si va “a sensazione” perchè non esiste una regola matematica esatta quindi bisogna fare diverse prove prima di arrivare al risultato desiderato.
Spero che questo vi abbia incurioisto e che anche voi potrete iniziare a sperimentare questo tipo di foto.
La Nikon D2H è una reflex digitale professionale presentata dalla Nikon il 22 Luglio 2003 in produzione fino al 2005. La Nikon D2H è equipaggiata da un sensore in formato DX da 4.1 MegaPixel ottimizzato per lo sport e le riprese in cui era necessario una velocità di scatto al secondo elevata. Il corpo era tropicalizzato e quindi poteva resistere alle più rigide temperature e intemperie.
La Canon EOS DCS-3 è stata la prima fotocamera reflex digitale sviluppata dalla Kodak su un corpo Canon (poi rinominata Kodak EOS DCS-3). Messa in commercio nel Luglio del 1995.
La Kodak ha utilizzato il corpo macchina della Canon EOS 1-N, una fotocamera reflex analogica, modificata per far alloggiare il dorso digitale Kodak NC2000E. L’utilizzo di un corpo Canon ha permesso di mantenere la compatibilità con tutti gli obiettivi della serie Canon EF.
Successivamente sono state prodotte le sue sorelle maggiori. La Canon EOS DCS-1, uscita a fine 1995, con un sensore di 6 MegaPixel e poi la Canon EOS DCS-5 con un sensore di 1,5 MegaPixel.
Il dorso digitale Kodak NC2000E aveva una memoria RAM da 16 MB che funzionava da buffer, uno slot per schede di memoria PCMCIA e una porta di collegamento al computer di tipo SCSI.
Il sensore (un po più piccolo di un APS-C) aveva un fattore di crop di 1,7x e una risoluzione di 1,3 MegaPixel ma non era presente un monitor posteriore per poter visualizzare le fotografie scattate.
Le immagini erano immagazzinate in un formato proprietario (potremo definirlo un RAW attuale) e per poterle visualizzare e trasformare in JPG c’era bisogno di un apposito software installato sul computer.
Una scheda di memoria PCMCIA da 260MB poteva immagazzinare al massimo 189 fotografie con una velocità massima di 2,7 scatti al secondo.
Per l’epoca era sicuramente una grande innovazione ma purtroppo per pochi perché costava moltissimo 2 milioni di Yen.
Caratteristiche: Sensore: APS-C (Rapp. 1,7x) 1,3 MegaPixel Sensibilità ISO: da 200 a 1600 Velocità di scatto: da 30sec a 1/8000 Flash non integrato Memoria PCMCIA o Microdrive Dimensioni: (LxAxP): 200x155x90mm – Peso: 1800g
William Henry Fox Talbot nasce a Melbury (nella contea di Dorset in Inghilterra) l’11 Febbraio 1800. Muore a Wiltshire il 17 Febbraio 1877. Talbot era un ricco proprietario terriero e si dedica fin da giovanissimo alle scienze e in particolare agli strumenti ottici, più precisamente al microscopio.
Si laurea, nel 1821, presso il Trinity College di Cambridge. Inizia a viaggiare in molti paesi europei portando con se la Camera Obscura e la Camera Lucida (di Wollatson) così da poter eseguire degli schizzi dei luoghi e paesaggi che incontra.
Una riflessione puramente personale: se ci pensiamo questo è uno degli scopi della fotografia, avere ricordi di posti visitati durante i viaggi. Quindi Talbot già 10 anni prima della sua invenzione è sulla buona strada.
Nel 1822 si mette in contatto con l’ottico modenese Giambattista Amici chiedendogli un suo esemplare di microscopio ad immersione che all’epoca era il più innovativo. Così nasce tra loro un rapporto epistolare durato fino al 1827 e poi ripreso tra il il 1839 e il 1844. Tutte le loro lettere fanno seguire alcune delle tappe fondamentali degli studi di Talbot.
Giambattista Amici – ottico Modenese
Tra i suoi viaggi si reca anche in Italia sul Lago di Como e precisamente a Bellagio, nel 1833. Mentre stava disegnando gli viene in mente un’idea “trovare il modo di fissare il disegno della luce” senza l’intervento manuale come egli stesso scrive nel suo libro “The Pencil of Nature” del 1844.
William Henry Fox Talbot si rende conto di non possedere il “dono del disegnatore” e quindi rimane deluso dai sui schizzi, sia con la Camera Obscura che la Camera Lucida, così cerca di trovare il modo di “prendere” le immagini senza un intervento manuale.
Ritorna in Inghilterra, Gennaio 1834, e si procura una soluzione di nitrato d’argento e la spalma su una carta aspettando che si asciughi, così iniziano i primi esperimenti che poi porteranno alla scoperta del suo procedimento.
Il 25 Gennaio 1839, tramite Michael Faraday (fisico, chimico e divulgatore scientifico britannico), c’è il primo annuncio pubblico del procedimento alla Royal Instution. Il primo annuncio direttamente da Talbot alla Royal Society fu fatto il 31 Gennaio 1839.
Michael Faraday – fisico, chimico e divulgatore scientifico
Un suo amico Herschel (astronomo, considerato il padre della moderna astronomia) gli da l’idea di utilizzare, per il lavaggio delle lastre, l’iposolfito di sodio. Questa idea pone rimedio, definitivamente, ad alcune problematiche del procedimento.
John Herschelastronomo, considerato il padre della moderna astronomia
Il 2 Febbraio 1839 appare una nota riassuntiva del provvedimento su “The Literary Gazette”. Il procedimento di Talbot viene anche pubblicato su “The Globe” il 25 Febbraio 1839 anche se con poche informazioni.
Nel Ottobre del 1840, Talbot, era già in grado di utilizzare veloci tempi di posa fino ad 8 secondi e questo lo annuncia tramite una lettera alla “Literary Gazette” il 5 Febbraio 1841.
Viene depositato il brevetto della “calotipia” o “talbotipia” l’8 Febbraio 1841 poi registrato il 17 Agosto. Invece in Francia viene pubblicato solo nel 1857.
William Henry Fox Talbot brevetta molto invenzioni, proibendone l’uso senza il suo consenso, contrariamente a Daguerre che però riceveva una pensione a vita.
Louis Jacques-Mandé Daguerre (1787-1851). Si occupa, inizialmente, di pittura e scenografia sia come disegnatore teatrale che scenografo all’Opéra de Paris. Queste esperienze portano Daguerre, con un amico Charles-Marie Bouton, a realizzare degli spettacoli chiamati “Diorami” con cui ebbe subito un grande successo.
Il “diorama” consisteva nell’allestimento di grandissime scenografie che comprendevano grandi tele semitrasparenti dipinte con prospettive di luoghi ed edifici famosi, cercando di ricostruire una esperienza “viva” attraverso l’utilizzo di luci ed effetti ottici. L’inaugurazione del “Diorama” avviene il 11 Luglio 1822. Queste scenografie gli diedero un grande successo, in tutta Europa, come alternativa al teatro e questo può anche essere un’anticipazione all’avvento del cinematografo.
Purtroppo l’8 Marzo 1839 il diorama di Parigi venne colpito da un incendio. Questo grave accadimento mette in crisi economica Daguerre. Fino a quel periodo non voleva rendere pubblici i risultati del Dagherrotipo perché voleva creare una società per poter guadagnare economicamente con questa grande invenzione. Ma la crisi economica derivante dall’incendio del diorama di Parigi gli fa accelerare i tempi.
Tra il 1829 e il 1835Daguerre aveva studiato con impegno ed entusiasmo i materiali fotosensibili. Aveva una continua corrispondenza con Niépce (attraverso codici segreti) con cui si scambiavano idee e informazioni sui risultati raggiunti.
Già nel 1831, Daguerre, fa prove con i vapori di mercurio che usava normalmente per l’amalgama con l’argento. Nel 1835 scopre, in modo fortunoso, che sulla lastra di rame si creava una “immagine latente”, si vedeva solo se si esponeva la lastra ai vapori di mercurio, senza lunghissimi tempi di posa ma anche “solo” dopo 30 minuti.
Il primo Dagherrotipo viene ottenuto nel 1837 sviluppando l’immagine con mercurio riscaldato, invece che con sostanze precedentemente utilizzate.
La “Gazette de France” pubblica un annuncio della invenzione del Dagherrotipo il 6 Gennaio 1839. Il giorno dopo, il 7 Gennaio 1839, Jean François-Dominique Arago (celebre ed illustre astronomo) diede comunicazione alla Accademia delle Scienze di Parigi presentando anche alcuni Dagherrotipi.
Il 7 Gennaio 1839 è anche considerata, ancora oggi, la data di nascita della fotografia.
Daguerre e Arago si danno molto da fare per la promozione di questa grande invenzione. Infatti, Arago (che era anche un membro della Camera dei Deputati), presenta un progetto per l’acquisto dell’invenzione da parte dello Stato, alla Camera dei Deputati, proponendo una pensione a vita per Daguerre di 6.000 franchi all’anno e per Isidore Niépce di 4.000 franchi che vengono poi accettate ed assegnate da Luigi Filippo il 15 Giugno 1839.
Il 19 Agosto 1839Arago presenta ufficialmente al mondo il Dagherrotipo che aveva destato una grandissima curiosità nel mondo scientifico. Questa curiosità era arrivata anche ad illustri esponenti del mondo scientifico come Samuel Morse (allora professore di disegno e letteratura all’università di New York). Morse, insieme al collega Draper, fu il primo a introdurre la dagherrotipia nell’America del Nord.
Louis Jacques-Mandé Daguerre decide, soltanto il 3 e 17 Settembre, a dare una dimostrazione pubblica del procedimento. Successivamente, il 20 Agosto 1839, Daguerre diffonde un manuale d’uso di 79 pagine che entro la fine dell’anno viene tradotto e stampato in 5 diverse lingue.
(Fonte: Storia e tecnica della fotografia – Italo Zannier – 1993 Editori Laterza)
Il Dagherrotipo più famoso della storia, scattato da Daguerre dalla finestra del suo appartamento
Ritratto femminile su dagherrotipo da 1/6 di lastra con coloritura manuale. Il lieve effetto di solarizzazione sulle aree più brillanti della camiciola induce limpressione di colore e di maggiore rilievo del tessuto. Lo sfondo uniforme ma luminoso esalta labbigliamento del soggetto accentuando il distacco tra i piani e la sensazione di profondità.
Superbo dagherrotipo francese su piastra da ¼ di lastra , tinto con tecniche miste a più colori.
Ritratto femminile su dagherrotipia tinta da 1/6 di lastra. Gioielli dipinti in oro.
Joseph-Nicéphore Niépce (1765-1833), di famiglia benestante, aveva iniziato a studiare per una carriera ecclesiastica, insieme al fratello Claude.
Il fratello Claude lavora insieme a lui a tante invenzioni, in particolare ad una macchina che avrebbe fatto procedere i battelli senza ne remi ne vele (praticamente aveva pensato all’odierno motore) che venne poi brevettato come “pyréolophore” nel 1807.
Ai tempi della Rivoluzione aveva 24 anni ed insegnava presso alla Congrégation des Pères de l’Oratoire ad Angers, ma abbandona questo incarico per arruolarsi nell’esercito. Nel 1792 fu in Italia come luogotenente del 42° reggimento di fanteria.
Due anni dopo, anche a causa di una malattia, concluse la carriera militare. Subito dopo si sposa e preferisce amministrare le proprietà di famiglia, anni in cui inizia, insieme a Claude, le prime sperimentazioni sulle sue invenzioni impegnando la gran parte delle sue economie.
L’idea di migliorare o per lo meno di rendere più semplice la tecnica litografica, sollecitò i due fratelli, a sperimentare la possibilità di utilizzare metallo anziché pietra. Pensarono anche di ottenere con la luce l’impronta di un disegno posto a contatto della lastra metallica, che inizialmente era di stagno, trattata con sali d’argento dalla nota qualità di sensibilità alla luce. Niépce utilizza anche la carta come supporto, impregnandola di cloruro d’argento e acido nitrico.
L’impossibilità di fissare l’immagine su un supporto stabile dissuade i fratelli a continuare su questa strada. Ma la loro curiosità gli fa incontrare il “bitume di Giudea” (un asfalto di uso comune che veniva utilizzato nella creazione di vernici per la stampa e si conosceva anche la sua alterabili alla luce) che si rivelerà miracoloso e fondamentale per il proseguo delle ricerche dei fratelli Niépce.
Nel 1822 dicono di aver ottenuto una “veduta della casa e del giardino di Gras” e negli anni successivi anche diverse lastre per impressione a contatto. Una di queste lastre è la famosa incisione su peltro bitumato, nel 1824, di un antico cardinale d’Ambrosie, ministro di Luigi XII, della quale esistono anche diverse copie eliografie.
Joseph-Nicéphore Niépce – Cardinale d’Amboise
Il procedimento studiato da Niépce risolve il problema del fissaggio dell’immagine ottenuto aggirando l’utilizzo dei sali d’argento. Il Bitume di Giudea, che indurisce se colpito dalla luce per un lungo periodo, rimane invece solubile nelle altre parti non esposte, se immerso in petrolio, olio di lavanda o di Dippelio; non solo questa è la proprietà “fotografica” del bitume, ma esso tende anche a schiarire, determinando lo “sviluppo”, un chiaroscuro che riproduce con sufficiente precisione il disegno dell’immagine. Questa poteva essere ottenuta da una matrice di carta resa trasparente con olio o cera e posta a contatto con la lastra bitumata. Per creare la famosa immagine “Points of vue” furono necessarie dalle otto alle dieci ore.
Joseph-Nicéphore Niépce – Points of vue
Niépce si ritiene soddisfatto dei risultati ottenuti, con le lastre bitumate, incoraggiato anche dal famoso ottico Chevalier (che un anno prima a Parigi aveva visto una delle sue eliografie).
Nel 1827 incontra sulla sua strada Daguerre che lo affascina fin da subito. I due diventano molto amici (fino alla morte di Niépce) e iniziano anche una collaborazione sui procedimenti “fotografici”. Entrambi speravano di poter trarre profitto dalle possibilità offerte della eliografia.
Louis Jacques Mande Daguerre (1787-1851)
Fu siglato un contratto tra i due il 14 Dicembre 1829, che avrebbe avuto una durata di 10 anni se Niépce fosse scomparso prima, lasciando però erede il figlio Isidore.
Niépce aveva ceduto, a titolo di quota sociale, la sua invenzione, e Daguerre per conto suo si impegnava a “apportare una nuova combinazione di camera nera, i suoi talenti e la sua industria” come l’altra metà della società.
Anche quando Daguerre inventa la sua “fotocamera” il Daguerrotipo (Daguerrotype), il contributo di Niépce sembra essere stato fondamentale.
La dagherrotipia si è realizzata in effetti in queste su queste premesse e suggerimenti, generosamente ceduti da Daguerre, dopo il contratto del 1829.
Niépce aveva compiuto esperimenti, fino ad allora, usando tre diversi supporti: il rame, dopo l’esposizione, come l’acquaforte, ottenendo una matrice che, inchiostrata, consentiva di stampare un gran numero di copie; l’argento con cui otteneva una copia unica, positiva, mediante l’annerimento del metallo con i vapori di iodio; il vetro da esaminare in trasparenza. Niépce non si è reso conto che con l’utilizzo del vetro (lastre trasparenti) aveva, in pratica, inventato il “negativo” e quindi realizzato il concetto essenziale della fotografia, in seguito invece di questo se ne rende conto Talbot. (Fonte: Storia e tecnica della fotografia – Italo Zannier – 1993 Editori Laterza)
La Canon EOS 350D è stata presentata il 17 Febbraio 2005 con il nome di Digital Rebel XT in Nord America e Kiss Digital N in Giappone.
È la sorella maggiore della EOS 300D e poi sostituita anche essa dalla EOS 400D nell’agosto del 2006, rimanendo però in commercio fino al 2007.
La EOS 350D è una evoluzione della EOS 300D ma dispone di funzioni e di pezzi derivati dalla EOS 20D, che appartiene ad una classe maggiore. Infatti è equipaggiata dal processore di immagineDIGIC II che consente una più veloce elaborazione delle immagini. Questo tipo di processore di immagini (DIGIC II) erano già montato sulla EOS 20D e addirittura sulla professionale EOS 1Ds Mark II.
La CanonEOS 350D ha sette punti di messa a fuoco contro i 9 della più professionale EOS 20D. C’è anche un’altra differenza tra le due fotocamere, il materiale di costruzione del corpo. La EOS 20D è in policarbonato e magnesio invece la 350D è solo di policarbonato ed è anche più piccola.
Secondo gli annunci della Canon questa fotocamera ha un migliore comportamento sul disturbo del colore e soprattutto una migliore qualità a sensibilità ISO più elevate (a 400 ISO si annunciano scatti quasi senza rumore).
Il flash integrato è controllabile solo in modalità E-TTL e solo i flash esterni (come il Canon Speedlite 540EZ) funzionano solo in modo manuale. Invece il flash anulare Canon ML-3 non funziona su questa fotocamera. La Canon raccomanda l’utilizzo di flash compatibili con sistema E-TTL come i Canon Speedlite della serie EX.
Caratteristiche: Sensore: APS-C (22,3×15 fattore 1,6x) 8,0 MegaPixel Sensibilità ISO: da 100 a 1600 File: Raw e JPG Schermo: 1,8” Velocità di scatto: da 30 sec a 1/8000 Flash integrato Pop – up Memoria: Compact Flash Batteria Canon ricaricabile Dimensioni: (LxAxP): 127x94x64mm – Peso: 540g
Una mattinata a Mantova. Un giorno qualunque delle vancanze di Natale 2023/24 abbiamo pensato di fare un giro in una città che non conoscevamo ma sapevamo molto bella.
Certo non è facilissimo trovare parcheggio, ma preparandosi in anticipo ad avere pazienza la attesa viene ripagata. Ho cercato un parcheggio quanto piu vicino al centro e devo dire che il Parcheggio Gonzaga è stata un’ottima scelta.
Abbiamo girato un po per la città senza alcuna meta, ma semplicemente incuriositi. Dopo poco ci siamo trovati nella piazza Sorbello dove c’era anche il mercato rionale. Una grande piazza con da un lato il Palazzo Ducale che impressiona per la sua grandezza. Frontalmente c’è la cattedrale, alle spalle la casa di Rigoletto.
Abbiamo visitato il Palazzo Ducale che è davvero immenso. Una visita che, credo non possa mancare per chi va a Mantova. Il biglietto pieno permette la visita anche alla Camera degli Sposi fatta da Mantegna e al Museo Archeologico Nazionale.
Sicuramente una mattinata a Montava non basta per poter vedere bene una città con una grande bellezza e tanta cultura ma è stato davvero un piacere riuscire a visistarla.
Di seguito potrete vedere un po di foto scattate durante la mattinata a Mantova.
Il sensore Foveon X3 è un sensore di immagini CMOS per le fotocamere della Sigma.
Questo particolare tipo di sensore fotografico permette di catturare (per ogni pixel) in un unico fotosito la luce incidente e di produrre i segnali relativi alle tre componenti fondamentali della luce (Rosso – Verde – Blu “RGB”) in modo molto simile alle tradizionali pellicole a colori.
Questa tecnologia ha il vantaggio, rispetto alle altre (Matrice di Bayer ecc.), di non aver bisogni di elaborazioni digitali. Nei sensori a matrice, invece, c’è bisogno di una interpolazione cromatica anche ai fotositi adiacenti per ottenere un’immagine reale.
Parlando di risoluzione di immagine e quindi di MegapIxel dobbiamo aprire una parentesi. Come sempre io cerco la esemplificazione massima quindi lo faccio anche in questo caso. I sensori a Matrice sono composti da 3 diversi fotositi (RGB) i quali hanno una corrispondenza esatta con il numero dei pixel, facendo un esempio: una fotocamera che ha un sensore da 9 MP avrà in realtà 3 MP per ogni fotosito quindi 3 milioni di punti reali.
Mentre i sensori Foveon X3 hanno i fotositi sovrapposti a sandwich (come per le tradizionali emulsioni su pellicola a colori), quindi il risultato è che se il sensore ha 9 MP sono effettivamente quelle le dimensioni dell’immagine.
Faccio una mia considerazione personale. Non ho mai utilizzato una fotocamera con questo tipo di sensore, mi dispiace perché sono molto curioso, ne comprerò una prima o poi :).
Però mi faccio una semplicissima domanda: perché è stato utilizzato solo dalle fotocamere Sigma e soprattutto per poco tempo senza aver riscosso così tanto successo come le fotocamere di marca Nikon o Canon? Penso quindi che l’idea sia stata molto bella ma che poi nel concreto non sia così tanto buona nel risultato finale. Questa, ripeto, è solo una mia modesta opinione.
La photokina è la più grande e più importante fiera nel mondo della fotografia.
La sua prima edizione si è tenuta nel 1950 e una nuova mostra è organizzata ogni due anni a Colonia, presso l’Exhibition Centre Cologne di Colonia, durante il mese di settembre.
La sua prima edizione verme chiamata Photo-und Kino-Ausstellung (Esposizione fotografica e cinematografica), suasivamente nel 1951 viene poi denominata Photokina.
Dal 1950 al 1966 si è tenuta ogni anno, dal 1966 ogni due anni in Settembre.
L’ultima si è svolta nel 2018. Purtroppo la pandemia ha fatto decidere gli organizzatori di fermare momentaneamente la fiera fino a data da definirsi (potrebbe anche portare all’addio di questa storica fiera del mercato dell’imaging).