Robert Capa

Robert Capa

Robert Capa pseudonimo di Endre Ernõ Friedmann nasce a Budapest il 22 Ottobre 1913 muore, saltando su una mina, nella provincia di Thai Binh (Vietnam) il 25 Maggio 1954.
Tra il 1931 e il 1933 studiò scienze, presso l’Università di Berlino, ma poi dovette lasciare la Germania a causa delle suoi origini ebraiche.
Inizia i primi passi nella fotografia da autodidatta fino a che non decide di trasferirsi a Parigi e diventa fotografo freelance.


È stato uno dei più grandi fotografi di guerra e i suoi reportage hanno documentato cinque diversi conflitti bellici: la Guerra Civile Spagnola (1936-39), la Seconda Guerra Sino-Giapponese (che seguì nel 1938), la Seconda Guerra Mondiale (1941-45), la Guerra Arabo-Israeliana (1948) e la Prima Guerra in Indocina (1954).


Riesce a documentare lo sbarco in Normandia dell’esercito alleato, gli americani in Sicilia e la liberazione di Parigi questi eventi lo hanno reso parte della storia e dato visibilità ad un grande fotografo come egli era.


Diventa molto famoso durante la Guerra Civile Spagnola grazie alla foto “Il Miliziano colpito a morte” anche se ancora oggi se ne discute la autenticità. Secondo alcuni la foto sarebbe stata montata ad arte dallo stesso Capa e quindi le circostanze dello scatto non sarebbero veritiere.

Ma lui si difende dando particolari precisi dei momenti che lo hanno portato allo scatto raccontando questo: “Ho scattato la foto in Andalusia mentre ero in trincea con 20 soldati repubblicani, avevano in mano dei vecchi fucili e morivano ogni minuto. Ho messo la macchina fotografica sopra la mia testa, e senza guardare ho fotografato un soldato mentre si spostava sopra la trincea, questo è tutto. Non ho sviluppato subito le foto le ho spedite assieme a tante altre. Sono stato in Spagna per tre mesi e al mio ritorno ero un fotografo famoso, perché la macchina fotografica che avevo sopra la mia testa aveva catturato un uomo nel momento in cui gli sparavano. Si diceva che fosse la miglior foto che avessi mai scattato, ed io non l’avevo nemmeno inquadrata nel mirino perché avevo la macchina fotografica sopra la testa”.

Nel 1947 fonda la Agenzia Magnum Photos insieme a Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger e William Vandivert.


Anche in tempo di pace ha fotografo, raccontando la vita decadente dei ricchi europei. Ha anche ritratto la vita dei più grandi artisti della sua epoca.


Il suo motto era “Se le tue foto non sono buone, vuol dire che non sei abbastanza vicino” ed intendeva che il reportage doveva essere fatto all’interno dell’azione. Capa cerca di limitare al minimo i filtri che possono esserci tra soggetto e fotografo ed completamente immerso nell’azione.
Robert Capa ha vissuto una intensa vita fatta di lavoro e di pericolo che però lui non disdegnava, era una persona sicura di se che amava le donne e le grandi bevute.

Se siete interessati ad acquistare libri su questo grande artista potrete visistare i link di seguito:

“Leggermente fuori fuoco” – https://amzn.to/49NOLTk

“L’opera / The Work 1932-1954”: https://amzn.to/3MWb6Vg

“Normandia 5 Giugno 1944”: https://amzn.to/3MWbsv4

“Robert Capa” biografia edizioni Contrasto: https://amzn.to/3SW6pi0

“La verità è lo scatto migliore”: https://amzn.to/46xyI9s

“La collezione completa”: https://amzn.to/47G0cLH

Il mio sito contiene link affiliati Amazon e riceve una commissione in caso di acquisto attraverso link affiliati.

La fotografia più famosa e controversa – Il miliziano colpito a morte

Seconda Guerra Mondiale – Gli alleati in Sicilia

D-Day – Sbarco in Normandia

Pablo Picasso inseime a sua moglie e suo nipote

www.fotomedica.it
David Alan Harvey

David Alan Harvey

David Alan Harvey è nato il 6 Giugno 1944 a san Francisco.
Scopre la fotografia, a 11 anni, nel 1956 quando acquista una Leica usata risparmiando dai soldi guadagnati dalla consegna di giornali. In questa fase iniziale scatta fotografie alla famiglia e al vicinato così inizia a prendere dimestichezza con i mezzi fotografici e imparare la tecnica.

In America, quando compie 20 anni, è molto presente la segregazione razziale e quindi si sposta a Norfolk (in Virginia) dove inizia a scattare fotografie alle famiglie di colore documentandone la vita.

Il suo stile è influenzato, e lo sarà per tutta la sua vita, dallo studio dell’arte e soprattutto dai pittori impressionisti francesi.


Alla fine del suo percorso scolastico di giornalismo nel Missouri, si dedica interamente al lavoro personale e a quello del National Geographic per il quale scatterà tantissime fotografie in giro per il mondo.


Nel 1978 è premiato come fotografo dell’anno e questo gli permette anche l’ammissione alla Agenzia Magnum nel 1977.
Riesce a viaggiare spesso, sia per lavoro che per divertimento, e questo gli permette di cogliere la realtà sotto diverse prospettive e questo si rivedrà poi nei suoi scatti.


Per cercare di cogliere la realtà, e la verità, si mette spesso in situazioni molto complicate e pericolose. Per scattare fotografie ai narcotrafficanti, ai gangster o in qualche zona malfamata dell’America Latina si mescola a questi personaggi perché secondo lui la realtà va vissuta per essere ben espressa.


Il suo amore per la vita si rivela ad ogni suo scatto enfatizzando l’umanità dei soggetti fotografati. Se vogliamo potremo dire che David Alan Harvey è un romantico della fotografia realista.

Per quanto riguarda lo stile fotografico non se ne occupa più di tanto perché, tornando agli impressionisti, egli sostiene la supremazia del contenuto sulla forma.
Per Harvey non conta la foto singola ma più che altro il reportage (progetto) fotografico con cui si possa raccontare una storia di un luogo o di una popolazione. Infatti i suoi più famosi lavori sono reportage.

Nel libro “Tell it like it is” viene raccontata la storia di una famiglia afroamericana, i Leggins, molto disponibile che Harvey segue per un mese. Erano una famiglia, del ghetto di Norfolk, con 7 figli. Questo progetto, innovativo e coraggioso per l’epoca, gli da la prima notorietà e inizia a lavorare con continuità con National Geographic.


30 anni dopo, proprio per National Geographic, Harvey realizza uno dei suoi servizi più importanti, quello dell’isola di Cuba. All’epoca, negli anni 90, Cuba era ancora una dittatura chiusa al mondo esterno. Harvey scatta girovagando tra i quartieri più poveri, partecipando alle feste e vivendo la vita quotidiana con le persone del luogo.


Ci sono tantissimi lavori su cui parlare su questo grandissimo fotografo ma ho scelto volutamente di fermarmi perché abbiamo compreso il suo animo ma non è detto che amplierò questo articoli o altri su di lui.

Per chiunque voglia espandere la conoscenza su Harvey può studiarlo attraverso i libri a lui dedicati che potete trovare in alcuni link alla fine dell’articolo.

“Cuba: Island at a Crossroad” edizione inglese: https://amzn.to/47JHjXK

“La crisi della modernità”: https://amzn.to/3R9NRs7

“Divided Soul. A journey from Iberia” Edizione inglese: https://amzn.to/3MV2dLD

“Alma Dividida: Un viaje desde la peninsula iberica / Divided Soul: Journey from the Iberian Peninsula” Edizione spagnola: https://amzn.to/3RafTEQ

“Burn.02” Edizione inglese: https://amzn.to/46oZMYC

“Virginia” Edizione inglese: https://amzn.to/3SS7CH8

Il mio sito contiene link affiliati Amazon e riceve una commissione in caso di acquisto attraverso link affiliati.

https://www.facebook.com/ClaudioIaconoDent

https://www.instagram.com/claudioiaconodental/

www.fotomedica.it
Peter Lindbergh

Peter Lindbergh

Peter Lindbergh pseudonimo di Peter Brodbeck è nato a Leszno (in Polonia) il 23 Novembre 1944 ed è morto a Parigi il 3 Settembre 2019.

È considerato uno dei fotografi contemporanei più influenti nell’estetica della fashion photography.

Da ragazzo lavora, Peter Lindbergh, come vetrinista per i grandi magazzini Karstadt e Horten in una città tedesca dove trascorre la sua giovinezza. La sua famiglia, vivendo in una zona della Germania vicina ai Paesi Bassi, trascorre spesso le vacanze estive sulla costa olandese nella zona di Noordwijk. Quindi i paesaggi ricorrenti nel suo immaginario sono le ampie e vaste spiagge e gli ambienti industriali.

All’inizio degli anni sessanta Peter Lindbergh si trasferisce in Svizzera, a Lucerna, per poi trasferirsi a Berlino dove si iscrive alla Accademia della Belle Arti.
Il suo idolo tra i grandi artisti della pittura è Vincent Van Gogh. Alla ricerca del suo idolo viaggia molto e visita Spagna e Marocco trascorrendo due anni in viaggio.


Di ritorno dal suo viaggio si trasferisce in Germania e frequenta il College of Art di Kunsthochschuke di Krefeld. Prima di laurearsi, influenzato dall’arte concettuale studiata, è invitato, nel 1969, a presentare i suoi primi lavori alla Galerie Denise René.


Nel 1971 si trasferisce a Düsseldorf e lavora come assistente fotografo dal tedesco Hans Lux, per poi aprire successivamente, nel 1973 il suo studio.

Nel 1978 si trasferisce a Parigi e si concentra sulla fotografa di moda, in quel periodo fotografa molte top model e attrici come Christy Turlington, Kate Moss, Naomi Campbell, Monica Bellucci, Linda Evangelista, Eva Herzigova, Cindy Crawford, Staphanie Seymour, Isabella Rossellini, Kate Winslet, Natassja Krinski e Tatiana Patiz. I suoi lavori sono apparsi spesso nel magazine Vogue e nelle riviste come Marie Claire, Interview e Harper’s Bazaar.
Le sue collaborazioni continuano con Vanity fair, Allure, Rolling Stone e The New Yorker.


Negli anni 90 e oltre si afferma definitivamente a livello mondiale come uno dei più grandi e influenti fotografi di moda.

Lindbergh è stato uno dei primi fotografi a introdurre brevi testi nei suoi editoriali di moda.


Il primo libro con il titolo “10 Women” nel 1996 è stato un vero best seller con 100.000 di copie vendute. Nel 1997 viene pubblicato “Images of Women” che offre una retrospettiva completa sui ritratti che Lindbergh aveva scattato negli ultimi 10 anni.


La fotografie di Lindbergh sono attualmente parte di diverse collezioni permanenti in molti musi d’arte in tutto il mondo.

Nel 1995 e nel 1997 è stato nominato il miglior fotografo agli International Fascion Awards di Parigi.
Nella sua ricerca artistica fa un largo uso del bianco e nero in quanto pensa che scattando in questo modo si acquisisce una drammaticità realistica in grado di neutralizzare il fine commerciale della comunicazione visiva, esaltando la personalità dei soggetti immortalati.


Quello che voleva far capire è che attraverso l’uso della fotografia in bianco e nero si possa arrivare a rappresentare un piccolo passo in più verso l’arte.
Bisogna anche dire che Lindbergh ha evitato quanto più possibile, nei suoi lavori, il fotoritocco e la post produzione perché voleva documentare la reale bellezza dei soggetti fotografati.

Se siete interessati ad acquistare libri su questa grande artista potrete visistare i link di seguito:

“Shadow on the wall” edizione multilingue: https://amzn.to/47G4hPm

“Azzedine Alaïa” edizione multilingue: https://amzn.to/3ukxfG2

“Dior” edizione multilingue: https://amzn.to/47pri9p

“on fashion photography” edizione multilingue: https://amzn.to/3QNOE1u

“Untold Stories” edizione francese: https://amzn.to/3R7j9kr

“Images of Women”: https://amzn.to/3sJfkZc

“Images of Women II” (2005-2014): https://amzn.to/47lwAD1

“A different vision on fashion photography”: https://amzn.to/3Ran6VB

Il mio sito contiene link affiliati Amazon e riceve una commissione in caso di acquisto attraverso link affiliati.

www.fotomedica.it
Ansel Adams

Ansel Adams

Ansel Adams è nato a San Francisco il 20 Febbraio 1902 ed è morto a Carmel-by-the-Sea in California il 22 Aprile 1984.


È considerato uno dei fondatori della fotografia paesaggistica ed è famoso per le sue fotografie in bianco e nero dei parchi nazionali americani.
All’età di 14 anni avviene il punto di svolta nella sua carriera di fotografo visitando il parco nazionale di Yosemite con una Kodak Brownie fotografando i paesaggi.

Kodak Brownie dalla mia collezione


Dopo tante vicissitudini negative si iscrive ad un gruppo ambientalista, il Sierra Club, che organizza gite annuali per i proprio soci. In queste gite Ansel Adams scatta tantissime fotografie imparando giorno dopo giorno ad acquisire una sempre maggiore praticità con la tecnica fotografica.


Nel 1926 conosce Albert Bender (chiamato “l’acquirente più attivo del lavoro degli artisti californiani” la Stanford University e il Mills College hanno una sala a lui dedicata nella biblioteca), un amico e finanziatore del suo primo progetti chiamato “Parmelian Prints of the High Sierra” che gli permetterà di guadagnare i suoi primi 4000 dollari. In questo progetto Adams riesce a dare il suo tocco, quasi pittoresco, insinuandosi nel paesaggio a piccoli passi senza però mai stravolgerlo.

Negli anni successivi viene ufficializzato come membro attivo del Sierra Club e questo farà in modo che non lo abbandonerà mai, infatti spesso è capo organizzatore di visite.

Nel 1932 fonda un gruppo chiamato f/64 (nome che richiama dichiaratamente la più stretta apertura del diaframma in fotografia), il nome è dato dalla tecnica fotografica che permette di avere tutto a fuoco nella immagine scattata ed è anche una tecnica particolarmente impegnativa utilizzata nei paesaggi. Lo scopo di questa organizzazione era di cercare di riunire tutti gli esponenti della straight photography (scattare immagini senza dare una manipolazione o una post produzione cercando di lasciare invariate le condizioni in cui è stata scattata la fotografia) come John Paul Edwards, Preston Holder, Alma Lavenson e Consuelo Kanaga.


Ansel Adams cerca, durante il suo lavoro, di documentare la natura così come si mostra agli occhi degli osservatori. Questo vuole essere un modo per poter conservare la bellezza della natura andando contro alle speculazioni edilizie e alla inciviltà dell’uomo.

I suoi lavori in Sierra Nevada hanno portato anche ad una cosa molto importante. Nel 1940 con il suo libro fotografico intitolato “Sierra Nevada: The John Muir Trail” riesce a fare eleggere il parco Sequoia and Kings Canyon a parco nazionale.

Adams è studiato ancora oggi nelle scuole di fotografia anche per l’invenzione del “sistema zonale” (se ne parla nel libro “il negativo”)una tecnica nata per la fotografia in bianco e nero che può essere utilizzata, ancora oggi, sia con la fotografia analogica che digitale. Questo sistema prevede lo studio dell’esposizione per sviluppare tutta la sfera di toni in modo che tutta la scena sia perfettamente esposta.


Tra le tante onorificenze conseguite nella sua vita la più importante arriva nel 1980 quando il Presidente degli Stati Uniti lo premia con la medaglia presidenziale della libertà.

Il pensiero di Ansel Adams sulla fotografia è di cercare una fotografia ben fatta, anche se questo costringe a “perdere tempo”, infatti lui non amava nessun tipo di elaborazione e quindi partiva da una foto tecnicamente perfetta che poi sviluppava senza modifiche.


Adesso arriva una mia riflessione: il modo di scattare di Adams è quello che ho cercato per tutta la mia vita fotografica, scattare una buona foto senza pensare allo sviluppo successivo. Adesso è molto facile scattare in digitale, perché si possono fare tante fotografie per poi vedere quale è quella riuscita meglio e svilupparla dando anche, in fase di post produzione, un’enfasi allo scatto. Io credo molto nel pensiero di Adams, scattare meno possibile ma bene.

Se siete interessati ad acquistare libri su questa grande artista potrete visistare i link di seguito:

“400 Photographs” Inglese: https://amzn.to/3sLAfuP

“Il negativo” dove si parla dettaglitamente del Sistema Zonale: https://amzn.to/46EFaM9

“La stampa”: https://amzn.to/3uvUgWA

“La fotocamera”: https://amzn.to/3uhsqNJ

“The National Parks Service Photographs”: https://amzn.to/40Ng4Jn

“Ansel Adams’ Yosemite: The Special Edition Prints”: https://amzn.to/49Zb60D

“L’autobiografia”: https://amzn.to/40RRoiX

“The Grand Canyon and the Southwest”: https://amzn.to/49F69Kd

“The Print” 3° serie: https://amzn.to/3GfPv65

Il mio sito contiene link affiliati Amazon e riceve una commissione in caso di acquisto attraverso link affiliati.

www.fotomedica.it
Steve McCurry

Steve McCurry

Steve McCurry è nato il 23 Aprile 1950 in Pennsylvania in un piccolo sobborgo di Filadelfia. Ha studiato alla Penn State University fotografia e cinema però poi si laurea in teatro nel 1974.

La sua carriera ha preso il volo quando nel 1979 attraversa il confine tra Pakistan e Afghanistan, prima dell’invasione sovietica, con abiti tradizionali e con molti rotoli di pellicola nascosti tra gli abiti. Fu quella l’occasione per Mc Curry di far vedere al mondo le immagini del conflitto e in quella occasione vince anche il Robert Capa Medal for The Best Photographic Reporting from Abroad che è un premio dato ai fotografi che si sono distinti per l’eccezionale coraggio delle loro imprese documentative.

Quando si parla di immagini di conflitti nel mondo di solito si pensa a lui perché ne ha seguiti davvero tanti. Quello che cerca di fare è di dare voce alle vittime della guerra, i civili, che anche se non sono morti ma hanno molte problematiche che gli impediscono di vivere una vita tranquilla.

Questo cercare di trovare le immagini che possano raccontare, secondo gli occhi della popolazione, le problematiche della guerra credo sia un ottimo modo di cercare di far capire ai Grandi del mondo che la guerra non ha vittime solo tra i soldati vinti e vincitori ma soprattutto fra le persone comuni che vorrebbero vivere una vita serena e normale ma che a causa di tutto ciò gli viene impedito.

C’è un pensiero che ci fa ben capire questo concetto che McCurry ha detto: “La maggior parte delle mie foto è radicata nella gente. Cerco di trasmettere ciò che può essere una persona colta in un contesto più ampio che potremmo chiamare la condizione umana. Voglio trasmettere il senso viscerale della bellezza e della meraviglia che ho trovato di fronte a me, durante i miei viaggi, quando la sorpresa dell’essere estraneo si mescola alla gioia della familiarità”.

Steve McCurry è famosissimo anche per la fotografia della ragazza Afghana, che è stata copertina del National Geographic, che è un’icona per tutto il mondo. Attraverso l’uso di una perfetta tecnica e l’utilizzo della luce in modo artistico, rende il colore uno straordinario modo di comunicazione. I colori molto vivaci fanno da sfondo e contrasto ad un mondo pieno di povertà e problematiche, ecco questo è quello che McCurry ci dice durante i suoi lavori: “Guardate cosa succede alle popolazioni colpite da povertà e guerra”. Secondo la sua visione: “Un fotografo deve immergersi nella realtà e nel contesto di quello che vuole raccontare”. Quindi lui si butta a capofitto in questa idea e vive nei luoghi che decide di raccontare per settimane in attesa di avere un feeling con il posto e con le persone, in modo che lui fosse una persona familiare e che la sua fotocamera diventi una normale compagna di vita quotidiana per tutti.

Se siete interessati ad acquistare libri su questa grande artista potrete visistare i link di seguito:

“Steve McCurry “”Le storie dietro le fotografie” Ediz. Illustrata: https://amzn.to/47n7L9M

“Una vita per immagini”: https://amzn.to/3MO58p1

“Devotion. Amore e spiritualità”: https://amzn.to/49F4KmV

“The iconic photographs” Inglese: https://amzn.to/3SJLtdU

“Bambini nel mondo – Ritratti dell’innocenza”: https://amzn.to/3QKV0yJ

“Afghanistan” Ediz. Multilingue: https://amzn.to/47qdgEO

“Il mondo di Steve McCurry”: https://amzn.to/46nMbki

“Steve McCurry “”Animals” Copertina Rigida illustratato – Tedesco: https://amzn.to/3uqS3Mg

Il mio sito contiene link affiliati Amazon e riceve una commissione in caso di acquisto attraverso link affiliati.

Ragazza Afghana – una delle più famose fotografie del mondo 1984

www.fotomedica.it
Profondità di campo

Profondità di campo

Sul sito Treccani la Profondità di campo viene spiegata in questo modo: ”è la distanza tra il punto più vicino e il punto più lontano (rispetto all’apparecchio di ripresa) della scena inquadrata che appaiono nitidi sul piano focale e quindi sulla pellicola”.


Di solito cerco sempre di evitare “paroloni” e faccio in modo di snellire e semplificare gli argomenti che tratto quindi io traduco così la definizione “quanto sfuocato troviamo tra un soggetto principale e uno secondario”.

La profondità di campo può essere maggiore se vogliamo una scena quasi totalmente a fuoco e minore quando vogliamo uno sfuocato tra il primo e gli atri soggetti.
Essa è influenzata da tre fattori: il diaframma, la distanza dal soggetto e la lunghezza focale.
Il diaframma è un componente presente all’interno dell’obiettivo composto da lamelle che aprendosi e chiudendosi variano la larghezza, se facciamo un ragionamento empirico possiamo dire che: più il diaframma è aperto e maggiore luce arriva al materiale sensibile (che sia essa una pellicola o il sensore digitale) e se è chiuso invece ne arriva poca. Perché ho detto “ragionamento empirico”? In realtà è effettivamente così ma il problema non è la luce che entra in macchina ma cosa succede al variare della apertura del diaframma. Più il diaframma è aperto e trovereme nella scena una minore profondità di campo, cioè uno sfuocato mentre se è più chiuso sarà il contrario ciò una scena a fuoco o comunque più a fuoco (esempio pratico: f2.8 molto aperto e più sfuocato, f9 un diaframma medio e abbiamo meno sfocato mentre un diaframma chiuso come per esempio f22 la scena sarà quasi totalmente a fuoco).

Mentre il secondo fattore la distanza dal soggetto influenza lo sfuocato in quanto più si è distanti dal soggetto fotografato e maggiore profondità di campo abbiamo (cioè più a fuoco) mentre al contrario se siamo più vicini abbiamo più sfuocato, questo a parità di apertura del diaframma.


L’ultimo fattore è la lunghezza focale dell’obiettivo utilizzato. Vi starete domandando, ed ora che cosa è questa lunghezza focale? Niente di più semplice, la lunghezza focale è la distanza tra il centro ottico di un obiettivo e il materiale sensibile. Questa misura si legge sugli obiettivi, infatti abbiamo obiettivi con lunghezze disparate che vanno dai 18mm ai 300mm. Certo detta così è davvero troppo semplicistico come ragionamento ma gli obiettivi e il loro funzionamento saranno trattati in questo articolo.

Per quanto riguarda la profondità di campo e la grandezza del sesnore posso dirvi che, a parità di diaframma utilizzato, con un sensore di maggiori dimensioni avremo una minore profondità di campo (quindi più sfuocato). Quindi potremo dire che la profondità di campo è inversamente proporzionale alla dimensione del sensore.


Faccio un esempio così è possibile comprendere meglio l’utilizzo della profondità di campo: nelle foto che vedete sono stati utilizzati tre diversi tipi di diaframma ma con uguale distanza dal soggetto così da poter comprendere cosa succede con i diversi tipi di diaframma.

Se avete bisogno di qualche consiglio sugli acquisti potrete visistare questo articolo

Il mio sito contiene link affiliati Amazon e riceve una commissione in caso di acquisto attraverso link affiliati.

www.fotomedica.it
Diane Arbus

Diane Arbus

Diane Arbus nasce a New York il 4 Marzo del 1923 e muore nel 1971. Gli Arbus erano una ricca famiglia ebrea proprietari di una catena di grandi magazzini nella Quinta strada a New York.
Diane incontra a 14 anni il suo futuro marito Allan. Suo marito diventa fotografo dell’esercito americano durante la Seconda Guerra Mondiale. Diane riceve la sua prima fotocamera (una Graphex) a 18 anni quando si sono sposati come regalo di nozze.

All’inizio Diane fa da assistente a suo marito ma poi studia attentamente la fotografia e i grandi fotografi dell’epoca e si cerca una sua personale posizione sulla fotografia.


Nel periodo dopo la metà degli anna ’60 conosce Stenley Kubrick e lui la omaggia nel film “Shining” con le gemelle Grady ispirandosi alla famosa fotografia “Identical Twins, Roselle, New Jersey” scattata da lei nel 1967.

Nella sua carriera in solitaria, i rapporti con il marito si inclinano con il tempo, vede un film “Freaks” di Tod Browing che diventa per lei una rivelazione.
Nel 1960 fa la sua prima pubblicazione “The Vertical Journey” formata da sei foto pubblicate dalla rivista “Esquire”. Nel 1965 il Moma presenta una mostra di sue fotografie dal titolo “Acquisizioni recenti”. La vita professionale di Diane, purtroppo, è accompagnata da tante critiche anche dai modelli che devono essere da lei fotografati su commissione, questa cosa la segnerà per tutta la vita ma non la farà fermare.

Analizzando la sua vita devo fare una considerazione personale: credo sia stata una donna con un grande e forte carattere tanto da combattere, nella sua mente, le avversità e le critiche.

In questa pagina ancora in costruzione troverete le più famose fotografie di Diane Arbus.

Se siete interessati ad acquistare libri su questa grande artista potrete visistare i link di seguito:

“Revelations”: https://amzn.to/3syH3f9

“An Aperture Monograph: 40th Anniversary Edition”: https://amzn.to/479i7d4

Diane Arbus biography: https://amzn.to/3MDLRXs

Il mio sito contiene link affiliati Amazon e riceve una commissione in caso di acquisto attraverso link affiliati.

www.fotomedica.it

Bruce Gilden

Bruce Gilden

Bruce Gilden, considerato il fotografo di strada più temerario di sempre, nasce a Brooklyn nel 1946. Studia Sociologia presso Penn State University ma poi la lascia perché non si sente stimolato dallo studio di questa materia.

Nel 1966 vede il film di Michelangelo Antonioni “Blow up” che lo colpisce molto e in quel momento decide di fare della fotografia uno stile di vita.

Come spesso succede, all’inizio di una carriera artistica, i soldi non sono mai sufficienti per poter vivere e coltivare la propria passione. Questo è successo anche a Gilden che per qualche periodo ha fatto il tassista a New York ma non gli era possibile fare foto visto l’impegno di tempo. Decide di fare l’autista di camion part time così da avere tempo da deviare alla sua grande passione.

La sua idea di fotografia è nata dalla famosa frase di Robert Capa che dice “se la foto non è abbastanza buona, non sei abbastanza vicino” e come è possibile vedere nei suoi lavori, la mette in pratica molto bene. Il modo con cui lui si approccia alla street photography è molto diverso rispetto a tutti i grandi maestri della fotografia perché cerca nelle persone un contatto e vuole suscitare, e fotografare, una reazione.

Nel cammino nella fotografia ha incontrato il suo “fedele e inseparabile amico” un flashgun (un tipo di flash “a pistola” da tenere in mano) che “spara” in faccia alle persone per strada cogliendo l’emozione e la sorpresa sui loro visi. Gilden è famoso per le fotografie ravvicinate alle persone fatte per strada a New York.

In questa pagina ancora in costruzione troverete le più famose fotografie di Bruce Gilden.

Se siete interessati ad acquistare libri su questo grande artista potrete visistare i link di seguito:

“Magnum Streetwise”: https://amzn.to/46a3p4q

“Facing New York”: https://amzn.to/4760WJJ

Bruce Gilden biography: https://amzn.to/40y1Eg2

“Hey Mister, Trow me some beads!”: https://amzn.to/475WvOQ

Il mio sito contiene link affiliati Amazon e riceve una commissione in caso di acquisto attraverso link affiliati.

www.fotomedica.it
Sedia con bandiera e brutto tempo

Fotografare avverse condizioni meteo

Per fotografare avverse condizioni meteo non c’è bisogno di una particolare attrezzatura. Sicuramente se si fotografa in condizioni molto difficili come ad esempio, temperature sotto zero, neve, ghiaccio, tempertaure estremamente calde con presenza di sabbia in questi casi bisogna equipaggiarsi di macchinarsi resistenti alle condizioni meteo estreme. Questo tipo di attrezzatura viene definita “tropicalizzata” in quanto, soprattutto, la fotocamera ha un corpo, di solito in lega di magnesio, resistenete alle temperature estreme e poi ha tutte le parti, dove ci possono essere fessure, chiuse ermeticamente.

Nelle foto (per fotografare avverse condizioni meteo) che vedrete in questo articolo non c’è stato assolutamente bisogno di attrezzatura particolare. Ho scattatato con la mia Nikon D610 (potete acquistare a questo link) e due diversi obiettivi: Nikkor AF 50mm f1.8 (potrete acqusitare a questo link) e un Nikkor AF 28mm f2.8 (potrete acquistare a questo link).

In questo caso mi è bastato fare qualche chilometro ed arrivare in questo splendido scenario, certo sono fortunato perchè la mia isola natale Ischia permette scenari molto belli in qualunque stagione. Nel tempo ho capito che per fare fotografie molto belle non bisogna andare chissà dove, o in capo al mondo, basta semplicemente guardarsi attorno anche nel posto dove si vive e si potranno scoprire visuali e prospettive di grande qualità.

Chiudo con una bella frase di Henri Cartier-Bresson: “Una fotografia non è nè catturata nè presa con la forza. Essa si offre. E’ la foto che ti cattura”.

Potete dare un’occhiata ai link di seguito per acquistare quello che ho utilizzato durante questo reportage:

Se poi volete espandere i vostri orizzonti sul mercato fotografico potrete visitare il mio articolo

Nikon D610: https://amzn.to/3SnN74N

Obiettivo Nikkor 50mm f1.8: https://amzn.to/47mMo8d

Obiettivo Nikkor 28mm f2.8: https://amzn.to/3SmCoYh

Scheda memoria: https://amzn.to/47dctWY

Treppiedi: https://amzn.to/3u0YS74

Zaino ad alta capacità e adatto ad ogni condizione meteo: https://amzn.to/3QLeSTJ

Zaino “normale”: https://amzn.to/45TzvBi

Il mio sito contiene link affiliati Amazon e riceve una commissione in caso di acquisto attraverso link affiliati.

www.fotomedica.it


Percorso della luce in fotografia

Storia della fotografia generale e medica

La storia della fotografia è molto vasta ma cercherò di riassumere le più importanti fasi che hanno portato allo sviluppo sia della fotografia generale che medica.

La fotografia anagraficamente nasce il 9 Luglio del 1839 quando Dagherre, con il matematico e astronomo Arago, presenta la sua invenzione, una fotocamera (chiamata poi Dagherrotype).
Questo sistema era formato da lastre di rame su cui era applicato elettroliticamente uno strato di argento sensibilizzato alla luce con vapori di iodio, è quindi così si riesce a fissare su un supporto fotosensibile una immagine.

Ma in realtà, se vogliamo dirla tutta, l’invenzione della fotografia è di Leonardo che attraverso la sua Camera Obscura (spiegata nel Codice Atlantico tra il 1502 e il 1515) permetteva agli artisti dell’epoca di fare degli schizzi di quello che si vedeva con molta accuratezza. Essa era composta, semplicemente, da una “stanza” stagna in cui su una parete era praticato un foro (foro stenopeico) che rifletteva sulla parete opposta un’immagine, di quello che si vedeva capovolta, su cui gli artisti effettuavano gli schizzi e misurazioni geometriche. Essa non è solo utilizzata come scopi artistici ma anche ingegneristici e geometrici. In seguito si riuscì a rendere “portatile” la Camera Obscura così da dare la possibilità agli artisti, e a chiunque ne facesse uso, di portarla nei posti in cui sarebbe servita.

La camera obscura è stata utilizzata in pittura. Uno dei più noti artisti che l’ha utulizzata è il Canaletto che portava con se a Venezia la sua camera obscura portatile facendo schizzi e prendendo misurazioni geometriche dei canali e dei palazzi.

La Camera Obscura aveva dato un grande vantaggio agli artisti ma non aveva risolto un grosso problema quello di poter impressionare la scena e fissare un’immagine su di un supporto. Questo poi è stato risolto prima da Niépce (socio di Daguerre) che tra il 1820 e il 1830ca che ha creato delle eliografie di cui la prima era un’immagine dalla finestra di casa sua che con un tempo di posa lunghissimo (8 ore) riuscendo ad impressionare su una piastra di stagno quello che si vedeva al di fuori.

Quindi Niepce riesce a fare quello che da quando Leonardo inventa la Camera Obscura si cerca, il rendere visibile e stabile quello che l’operatore vede. Possiamo dire che Niepce è il vero creatore del fissaggio su un supporto stabile e duraturo di un’immagine: questo supporto erano delle lastre di peltro emulsionate con il bitume di Giudea (dotato di una gran capacità di annerimento).
Purtroppo però Niepce morì poco dopo e quindi Daguerre dovette proseguire gli esperimenti da solo ma riesce comunque a brevettare la loro idea diventando il padre della fotografia. La sua prima fotografia è un dagherrotipo fatto dalla finestra della sua abitazione a Parigi.

Il daguerrotipo è un processo che fornisce un’unica copia positiva, non riproducibile, su supporto in argento o rame argentato, precedentemente sensibilizzato in camera oscura, mediante esposizione ai vapori di iodio.

Dal momento in cui Daguerre brevetta il suo sistema si vedono le prime sperimentazioni in cui si iniziava a capire la vera natura di questo strumento: il documentare la realtà con le immagini.

Nel 1840 A.F. Donné iniziò a fotografare all’ospedale Charité di Parigi delle sezioni di ossa e denti facendo dei dagherrotipi attraverso un microscopio. Successivamente nel 1855 il Dr. Gurdon Buck si affidò alla fotografia per poter documentare (alcuni soldati colpiti al volto durante la guerra civile americana) lo sviluppo delle sue operazioni di chirurgia plastica.

Ecco che in quel momento la medicina capisce quale sia l’uso più giusto della fotografia in questo ambito: studio del paziente e documentazione. Quindi la storia della fotografia generale e medica iniziano a fondersi. Durante il passare di questi anni di grande cambiamento tecnologico la storia fa incontrare il mondo della fotografia con quello scientifico / medico e quest’ultimo che ha dovuto chiedere aiuto ai primi, difatti nel 1847 il Dr. James Inglis chiese aiuto a Hill e Adamson, due pionieri della fotografia e in particolare della calotipia, per fare un calotipo di una donna con grande gozzo.


Il calotipo è un procedimento inventato da H. F. Talbot che permette, attraverso un negativo, la stampa di più copie di una stessa immagine.
Nel 1840 Talbot aveva fatto molti progressi, tanto da ridurre il tempo di esposizione a circa otto secondi. Brevettò questo procedimento con il nome di “calotipia”. Il calotipo rispetto al Dagherrotipo aveva una qualità di immagine più bassa e una minore nitidezza, questa differenza aveva innescato una vera battaglia tra la nitidezza e la granulosità pittorica che aveva questo procedimento.

Nel 1902, negli Stati Uniti, viene prodotta la prima fotocamera reflex chiamata Graflex. Una fotocamera reflex monobiettivo solida, robusta e maneggevole progettata per essere usata dai fotoreporter a mano libera considerata per oltre un ventennio la migliore fotocamera al mondo.

Ma nel 1913 avviene una svolta epocale, la creazione delle pellicole 35mm (24x36mm). Le pellicole utilizzate fino a quel momento erano di 18x24mm non abbastanza larghe per la produzione di buone fotografie. Barnack capo produzione della Leica decise di raddoppiare le dimensioni della pellicola fino a 24x36mm ruotandola in orizzontale. Così nasce la pellicola che è diventata lo standard per la fotografia amatoriale, dilettantistica e anche per applicazioni professionali.

Il vero salto verso la fotografia medica avviene nel 1952 quando Lester Dine inventa il flash anulare, un particolare tipo di illuminatore elettronico con forma di anello che posto davanti all’obiettivo poteva illuminare correttamente e con una luce uniforme piccoli soggetti. Credo che il 1952 con la creazione del flash anulare possa stabilire il punto esatto in cui la storia della fotografia generale e medica si inglobano completamente. La sua forma e funzione era perfetta per la foto chirurgica e in qualunque altro tipo di documentazione medica dove era impossibile far entrare una potente luce che potesse creare una giusta immagine.

A supporto dell’importanza della fotografia in medicina nel 1955 durante un congresso Sir. Harold Gillies (chirurgo plastico esperto in chirurgia facciale) dichiarò che il più grande progresso in medicina plastica era l’uso della fotografia nelle applicazioni mediche.

Il formato della pellicola 35mm è rimasto uno standard per oltre 70 anni fino a quando nel 1975 un ricercatore della Kodak, Steven Sasson, inizia a lavorare al primo sensore fotografico digitale. Il primo prototipo di fotocamera con sensore digitale CCD produceva un’immagine ad una risoluzione di 0,01 Megapixel e i dati venivano registrati su un supporto magnetico (una cassetta). Il sensore CCD catturava la luce in due dimensioni e poi la trasformava in segnale elettronico. Nel 1978 viene rilasciato il brevetto per questo tipo di sensore. Volutamente non mi dilungo su quale sia il significato di CCD su questo articolo perchè sarò trattato più approfonditamente.


L’informatica aveva preso ormai piede nel mondo e infatti nel 1987 viene creata la prima versione del software Photoshop chiamata Display che era semplicemente un visualizzatore di immagini in bianco e nero su schermi in scala di grigio. Nel 1990 Display viene acquisito dalla Adobe ed è così che nasce la prima versione del software più famoso al mondo per la modifica delle immagini digitali Photoshop.

Nel 1991 viene prodotta la prima reflex con sensore digitale dalla Kodak chiamata DCS 100 destinata principalmente al fotogiornalismo.

La DCS-100 era stata sviluppata su un corpo della Nikon F3 aveva una risoluzione di 1,3 Megapixel essa viene fornita con una unità di archiviazione esterna chiama DSU (Digital Storage Unit) per conservare le immagini e dove si alloggiavano anche le batterie, conteneva un disco rigido da 200Mb e poteva contenere 156 immagini in formato grezzo (RAW) e 600 in Jpg con una scheda accessoria per la comprensione dei file venduta come accessorio.
La continua evoluzione della tecnologia e dei processi produttivi hanno reso poi possibile commercializzare fotocamere digitali con sensori sempre più potenti e di qualità a costi contenuti tanto che adesso non è più possibile parlare di differenza tra una fotografia analogica ed una digitale.

Analizzando l’evoluzione della fotografia da quando nel 1400 Leonardo studia la luce e crea la Camera Obscura, passando poi ai primi pionieri della fotografia e arrivando ad oggi con il sensore digitale, possiamo affermare che in realtà, al di la della tecnologia in uso, la fotografia non è mai cambiata. Leonardo fa un foro su una parete che proietta un’immagine sulla parete opposta, Daghere inventa una fotocamera con un sistema di lenti che fa passare la luce arrivando ad una lastra che impressionandosi crea una immagine poi vengono create pellicole che hanno lo stesso uso delle lastre fino ad arrivare ai sensori digitali. Quindi la luce fa sempre lo stesso percorso ma si troverà poi un sensore che trasformerà un segnale analogico (la luce) in uno digitale (un file informatico), quindi da Leonardo ad ora il concetto è sempre lo stesso

www.fotomedica.it