William Vandivert nato a Evamston (Illinois) il 16 Agosto 1912 e morto il 1° Dicembre 1989. Tra il 1928 e il 1939 studia chimica al Beloit College nel Wisconsin poi nel 1930 studia fotografia all’Art Institute di Chicago fino al 1935.
La rivista Life lo assume nel suo team nel 1938. William Vandivert è stato uno dei pochi fotografi a lavorare prima della Seconda Guerra Mondiale con pellicole a colori, lui preferiva la Kodachrome. A Parigi, nell’estate del 1939, fa un reportage fotografico a colori e poi nel 1940 fotografa (sempre a colori) il Blitz di Londra.
Viaggia in India, per la rivista Life, nel 1943 per documentare la straziante Carestia del Bengala. In questo terribile contesto scatta fotografie molto crude come: una donna anziana che muore lungo la strada, un uomo a petto nudo tanto magro da vedere le ossa, la pulizia dei cadaveri per strada e la loro cremazione all’aria aperta. Da questo atroce reportage nasce una mostra nel 1955, curata da Edward Steichen, al MoMa di New York.
Durante la Seconda Guerra Mondiale è testimone alla scoperta del campo di concentramento di Gardelegen dove scatta molte foto con i resti di centinaia prigionieri politici rinchiusi in un magazzino e le guardie tedesche gli hanno dato fuoco. Le truppe alleate scoprono questa atrocità due giorni dopo, alcune foto mostrano i cadaveri ancora fumanti.
Nel 1945, William Vandivert, fu il primo fotoreporter occidentale a fotografare le rovine della città e il bunker di Adolf Hitler. Queste foto furono poi pubblicate sul numero di Luglio della rivista Life.
Lascia il team di Life nel 1946. William Vandivert, nel 1947, aiuta a fondare la agenzia Magnum Photos insieme a Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger e Maria Eisner. L’anno dopo Vandivert lascia la Magnum Photos per dedicarsi alla fotografia come freelance pubblicando molti reportage per la rivista Fortune. Si dedica successivamente anche alla fotografia naturalistica pubblicando diversi libri tra il 1960 e il 1982.
George Rodger nato a Hale il 19 Marzo 1908 morto a Ashford il 24 Luglio 1995. Frequenta il St. Bee’s College (Cumbria) ma presto lascia e si imbarca nella Marina Mercantile Britannica trascorrendo due anni viaggiando in giro per il mondo. All’età di 20 anni, durante la Grande Depressione, va in America lavorando in diversi ambiti.
Torna in Inghilterra nel 1936 e la BBC lo assume come fotografo. La rivista americana Life, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, lo fa diventare corrispondente di guerra. Alcune delle sue importanti fotografie, durante la guerra, si riferiscono ad avvenimenti molto importanti come: Blitz di londra, Africa occidentale con la liberazione dei francesi, la caduta della Birmania, gli sbarchi degli alleati in Sicilia e a Salerno, la battaglia di Cassino, il D-Day e lo sbarco in Normandia, la liberazione di Parigi, Bruxelles, Olanda e la Danimarca, la resa a Luneberg e le liberazioni del campo di concentramento di Belsen.
George Rodger è conosciuto con l’appellativo “l’inglese tranquillo” perché aveva un carattere molto pacato. Si descrive come un sognatore che ha usato la fotografia per poter vedere cosa il mondo aveva da offrire.
L’esperienza traumatica dei campi di concentramento lo portò ad abbandonare il fotogiornalismo di guerra cercando nuovi spunti in Asia e Medio Oriente esplorando le tribù e le diverse etnie nelle aree remote.
Una sua frase rende molto bene l’idea della sua fotografia:”Posso destreggiare la composizione, come la forza di un’immagine è nella composizione. O posso giocare con la luce. Ma non interferiamo mai con il soggetto. Il soggetto deve andare a posto da solo e, se non mi piace, non devo stamparlo”.
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David Seymour(Chim) nato a Varsavia nel 1911 e morto a Canale di Suez nel 1956. Studia grafica a Lipsia e poi intraprende la carriera come fotografo, con il soprannome di Chim, all’inizio degli anni 30. Proprio negli anni ’30 a Parigi, lavorando come fotografo freelance, entra in contatto con Robert Capa e Henri Cartier Bresson. Fu inviato a documentare la Guerra Civile Spagnola dalla rivista Regards. Riuscì nell’impresa della documentazione dimostrandosi di un giornalismo sempre partecipe dei drammi della realtà fotografata.
Nel 1939 mmigra negli Stati Uniti dove presta servizio come ricognitore fotografico documentando il viaggio dei rifugiati spagnoli repubblicani verso il Messico. Nel 1940 fu arruolato dall’esercito statunitense e inviato in Europa come fotoreporter durante la guerra.
Divenne cittadino naturalizzato degli Stati Uniti nel 1942; nello stesso anno i genitori furono uccisi dai nazisti. Dopo la guerra ritornò in Europa per documentare le condizioni dei bambini rifugiati per conto dell’UNICEF, da poco fondato. Era famoso per le sue foto di ritratto soprattutto ai bambini. Fu uno dei fondatori, nel 1947, dell’Agenzia Magnum. Dopo la morte di Robert Capa, Chim, diventa Presidente della Magnum Photos, carica ricoperta per 10 anni fino 10 Novembre 1956.
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Martin Munkácsi (vero nome Mermelstein Márton) nato a Cluj-Napoca (Romania) il 18 Maggio 1896 e morto a New York il 13 Luglio 1963.
Inizia la sua carriera come fotografo di sport per un quotidiano ungherese. Questa esperienza nello sport gli serve per poter capire la tecnica di catturare il movimento anche quello più veloce. Per l’epoca, con gli apparecchi fotografici che si potevano utilizzare, la fotografia sportiva era davvero una materia molto complicata. Pensiamo semplicemente alle pellicole non molto sensibili e alle aperture del diaframma molto strette.
Martin Munkácsi riesce in qualcosa che nessuno mai prima prova a fare, portare il movimento nella fotografia di moda. La fotografia glamour dell’epoca era esclusivamente statica. Diviene così un fotografo molto famoso e apprezzato tanto da essere il fotografo di moda più pagato dell’epoca.
Ci sono alcune immagini iconiche in cui Munkácsi immortala le modelle mentre saltano da un marciapiedi con un ombrello. Aspettate un attimo….solo a me viene in mente una celebre fotografia di Henri Cartier-Bresson di un uomo che salta con un ombrello? Questo è un ottimo spunto per dire che Cartier-Bresson ha studiato molto le immagini di Martin Munkácsi tanto da sentirsi ispirato e cercare di emularne la capacità di fermare un attimo. Oltre a Cartier-Bresson anche un altro celebre fotografo prende spunto dalla ricerca del cogliere l’attimo fuggente (beh qui era proprio perfetto :)) Richard Avedon (era un fotografo ritrattista statunitense celebre per i ritratti in bianco e nero).
Ma Munkácsi era famoso anche per i suoi scatti irriverenti, in cui cercava ironia e soprattutto il suo approccio alla fotografia era gioioso e emotivamente positivo. Nel 2012 la rivista Times lo cita come una delle cento personalità che più hanno influenzato il mondo della moda nel secolo scorso. Purtroppo gli ultimi anni della sua vita non li passa molto bene. Muore in assoluta povertà a New York il 13 Luglio 1963.
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John Paul Edwards (Minnesota, 5 giugno 1884 – Oakland, 1968) è stato un fotografo statunitense, e membro del Gruppo f/64.
Trasferitosi in California nel 1902, non si sa come John Paul Edwards iniziò ad interessarsi alla fotografia, ma già nei primi anni venti era un membro dell’Oakland Camera Club, della società fotografica di San Francisco Society e del Pictorial Photographers of America.
Le sue prime fotografie erano in stile pittorialista, ma verso la fine degli anni venti mutò in un puro stile diretto. Intorno al 1930 Edwards incontra Willard Van Dyke e Edward Weston. Entro due anni erano diventati buoni amici, e nel 1932, Edwards è stato invitato ad essere uno dei membri fondatori del Gruppo f/64, insieme con Weston, Van Dyke, Ansel Adams, Imogen Cunningham, Sonya Noskowiak e Henry Swift. Ha partecipato alla caratterista mostra del Gruppo f/64 presso il Young Memorial Museum, in cui venivano mostrate nove immagini di barche, catene di ancoraggio e carri agricoli.
Ha continuato a fotografare per molti anni dopo che il Gruppo f/64 si sciolse nel 1935, ma non ebbe la fortuna che ebbero gli altri membri del gruppo. Nel 1967 lui e sua moglie donarono un’importante collezione di fotografie all’Oakland Museum. È morto ad Oakland, in California nel 1968.
Walker Evans nato a Saint Louis il 3 Novembre 1903 e morto a New Haven il 10 Aprile 1975. La sua era una famiglia abbiente, il padre lavorava nel mondo della pubblicità e per lui la vicinanza alla fotografia diventa naturale. Fin da piccolo riesce a prendere dimestichezza con la macchina fotografica.
Il primo approccio all’arte
In realtà il primo approccio artistico di Walker Evans non è stata la fotografia ma la letteratura. Studiò in Pennsylvania, Connecticut e Massachusetts prima di trasferirsi per un anno a Parigi. Al ritorno a New York cerca di sfondare nel campo della letteratura come scrittore. A Parigi entra in contatto con Eugene Atget e la sua allieva Berenice Abbott che avranno un grosso impatto nella sua formazione e nello stile della sua fotografia. Nel 1930, dopo aver capito che non avrebbe sfondato come scrittore, inizia l’avventura nella fotografia ma la letteratura resta sempre il suo primo amore. New York era una città piena di grattacieli, grandi palazzi e con una fisionomia industriale. Walker Evans fotografa La Grande Mela così come è senza cercare espedienti estetici.
Cuba 1933
Viaggia Cuba, nel 1933, dove stringe amicizia con Ernest Hemingway. A Cuba si immerge totalmente nella vita dell’isola dove scatta, con tratti sempre realistici, la vita quotidiana. Per paura che i suoi scatti potessero risultare sovversivi, prima di partire, Evans affida 46 immagini a Hemingway. Queste immagini perse e ritrovate solo dopo molto tempo, nel 2002.
La Grande Depressione Americana
Cercando di contrastare la Grande Depressione, il New Deal di Roosevelt, favori il lavoro di alcuni fotografi in particolare Walker Evans che nel biennio 1935/1936 riesce a catturare momenti di vita quotidiana degli americani di provincia. La FSA (Farm Security Administration), un’istituzione del ministero dell’agricoltura, fa entrare Evans all’interno della cosiddetta “unità storica” facendogli percepire uno stipendio regolare. La sua missione all’interno della ”unita storica” era un’indagine fotografica nell’America rurale, soprattutto negli Stati Uniti del Sud. Decide di fotografare la vita quotidiana di “provincia” con una vecchia fotocamera perché aveva intenzione di ribadire il momento di crisi nazionale e poi era quello che aveva fatto anche il suo “maestro” Eugene Atget a Parigi. Con questa fotocamera obsoleta cattura immagini di chiese, lavoratori e insegne sbiadite proprio per rimarcare il momento di profonda crisi nazionale.
Insieme allo scrittore James Agee collabora ad un testo dal nome “Let Us Now Praise Famous Men (Sia lode ora a uomini di fama) “ nel 1941. All’interno di questo lavoro troviamo fotografie di Walker Evans, senza la ricerca estetica (quindi documentando la realtà), che documentano la cruda realtà della Grande Depressione. Questo lavoro di Evans e di Agee è stato commissionato dalla rivista Fortune anche se dopo aver visto il materiale raccolto dai due lo aveva giudicato troppo realistico, complesso e crudo. I protagonisti del libro sono la vita delle famiglie dei coltivatori di cotone, fotografate negli anni 30 nelle zone più povere degli Stati Uniti. Il libro è stato poi ripubblicato nel 1960.
Nel 1938, al Museum of Modern Art a New York, espone per la prima volta con una sua mostra personale con la quale il pubblico gli riconosce la capacità di aver catturato la realtà della vita quotidiana degli americani. Evans entra a far parte dello staff della rivista Times, nel 1945, e successivamente anche di Fortune con cui collaborerà per molti anni (20 anni). La Yale University School of Art gli da la docenza, nel 1965. Scattando sempre meno insegnerà fino alla fine dei suoi giorni. Negli ultimi anni Walker Evans scatta con una Polaroid SX-70. Questo innovativo modo di fotografare vedendo subito il risultato gli permette di trovare altre forme espressive.
Walker Evans era una persona molto schiva e introversa, non amava parlare di se. Nel 2008 l’ex moglie pubblica una sua biografia che rivela il vero suo vero carattere. Nella biografia si evince che Walker Evans era una persona eccentrica, con uno spirito determinato, ma anche con carattere snob egocentrico.
Nell’arco della sua vita da artista gira l’America alla ricerca di quelle situazioni che facessero intravedere la realtà quotidiana. Per esempio ha girato in metropolitana con una fotocamera nascosta nel cappotto fotografando persone comuni e quindi lo scorrere della vita. La voglia di Walker Evans non era quella di mostrarsi un artista ma voleva documentare la realtà senza manipolazioni e senza dare una propria idea. Ecco perché è considerato il più grande fotografo del tempo che è riuscito a mostrare la vera realtà della condizione degli americani durante la Grande Depressione. La mia riflessione è che Evans abbia utilizzato le fotocamere come un’estensione del suo occhio critico della vita quotidiana di una popolazione in forte sofferenza, mostrando anche i contrasti sociali.
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Garry Winogrand nato a New York il 14 Gennaio 1928 e morto a Tijuana (Messico) il 19 Marzo 1984. Le sua era una famiglia molto umile di origine ebraica e abitavano nel Bronx, Il padre era conciatore di pelli e la madre sarta.
Durante il servizio militare si appassiona alla fotografia e decide di studiare presso la Columbia University di New York pittura e fotografia. Contemporaneamente ai suoi studi frequenta un corso di fotogiornalismo alla New School for Social Research tenuto da Alexey Brodovitch (un designer, fotografo e direttore artistico russo).
Negli anni 50 vince de borse di studio della Guggenheim Foundation che gli permettono di lavorare come freelance. In questo periodo cerca di concentrare il suo lavoro sulle strade e nella vita di New York ed altre città americane.
Nel suo lavoro riesce a raccogliere 300 mila immagini di vita quotidiana degli americani dove si evincono anche contraddizioni sociali e la vita caotica. Infatti è proprio la vita caotica ad interessare Winogrand che riesce a riorganizzare in immagini di sorprendente caos / ordinato.
Nel 1963 è stata organizzata una esposizione al Moma di New York che riesce a consacrarlo come grande artista quale era.
Purtroppo si ammala di un tumore alla colecisti che lo porta alla morte nel 1984 a soli 56 anni. Anche se la sua vita è finita presto riesce a lasciare un grandissimo archivio di immagini, con molte mai sviluppate. Alcune di queste fotografie mai sviluppate sono state, successivamente, raccolte, esposte e pubblicate in volume dal titolo Winogrand, Figments from the Real World dal Moma.
Credo che la street photography sia un tipo di fotografia molto particolare dove ci vuole un mix di empatia, curiosità, voglia di denuncia, essere impertinenti e sfrontati e anche un po di coraggio. Non è assolutamente facile girare per strada con una fotocamera e scattare fotografie a persone comuni senza che loro non se ne accorgano. Questo lato della street mi ha sempre intimorito e credo che per riuscire a fare delle grandi foto bisogna avere un carattere davvero sfrontato e senza paura. Chiunque abbia provato a fare delle foto per strada credo che possa capire la mia affermazione. In conclusione Garry Winogrand è stato uno dei protagonisti indiscussi della street photography americana.
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Lee Friedlander è nato a Aberdeen (Washington) il 14 Luglio 1934.
Un grande artista statunitense della street photography ma più in particolare per le foto glamour e di artisti della musica e dello spettacolo. A detta di tutti una persona particolarmente gentile e a modo cosa che lo ha sempre contraddistinto. L’interesse per la fotografia nasce già da bambino a 14 anni.
Nel 1956Lee Friedlander va a Los Angeles studiando per un breve periodo all’ Art Centre School. Nello stesso anno si trasferisce a New York ed inizia la sua carriera fotografando musicisti da copertina per la casa discografica Atlantic Records, concentrandosi di più sugli interpreti di musica Jazz e Blues. Le sue collaborazioni principali di quel periodo, che lo hanno fatto diventare uno dei più importanti fotografi della musica, sono state: Duke Ellington, John Coltrane, Charles Mingus, Ray Charles, Aretha Franklin e Ruth Brown. Si dedica, in questo periodo, allo studio della fotografia in bianco e nero e inizia a sperimentare le foto di nudo. Collabora come freelance con riviste importanti come Collier’s, Sport Illustrated e McCall’s.
Gli anni ’60 sono gli anni in cui riesce a stringere molte amicizie importanti, nell’ambito della fotografia, come quella con Diane Arbus, Robert Frank e Garry Winogrand con cui parlerà molto della loro passione comune condividendo le riflessioni. Winogrand è l’artefice dell’entrata nel mondo della street photography di Friedlander.
Cercando la sua forma espressiva gira per le strade di New York incontrando tanti cambiamenti della società che però documenterà fotografando soggetti semplici. Sulle orme di Robert Frank e Walker Evans gira gli Stati Uniti facendo diventare il materiale principale dei suoi viaggi i luoghi e le persone che incontrava.
La prima mostra personale di Lee Friedlander è stata esposta nel 1963 al Museo Internazionale di Fotografia presso la George Eastman House.
Nel 1967 al Museo di Arte Moderna a New York ci fu una rivoluzionaria esibizione chiamata New Documents curata da John Szarkowski (curatore e studioso del Museo) e Friedlander fu incluso. Lee espose 30 fotografie con soggetti luoghi urbani e vennero esibite insieme a quelle di Winogrand e Arbus così da far avere una grande svolta nelle loro carriere.
Sul numero di Settembre 1985 di Playboy appaiono alcune fotografie di Friedlander della popstar Madonna, che all’epoca era una studentessa, in bianco e nero. Una di queste immagini fu battuta all’asta, successivamente, dalla casa Christie a 37.500 dollari. Ha utilizzato per molto tempo una Leica 35 mm.
Cercando di trovare un suo stile unico utilizza immagini riflesse di diversi oggetti quotidiani come ad esempio, vetrine di negozi o specchi di varie dimensioni.
Nel 1990 cambia la sua Leica 35mm con una Hasselblad Superwide così da poter avere delle immagini molto più nitide e dettagliate. Superwide si riferiva all’ottica grandangolare con cui la macchina era equipaggiata e la trovò subito molto più appropriata per il suo tipo di fotografia permettendogli di scattare foto dei paesaggi americani come quelle presenti in The Desert Seen del 1996.
Durante la sua carriera Friedlander vinse numerosi premi di prestigio. Alcuni di essi sono: tre borse di studio della Guggenheim Foundation (1960, 1962, e 1977), quattro finanziamenti da parte del National Endowment for the Arts (1977, 1978, 1979, e 1980), una medaglia Edward MacDowell (1986), French Chevalier of the Order of Arts and Letters (1999), un “finanziamento per il talento ingegnoso” da parte della MacArthur Foundation (1990), nel 2005 il MOMA gli ha dedicato una grande retrospettiva, che raccoglieva gli scatti dal 1950 a oggi, e nello stesso anno ha ottenuto il Premio Internazionale Hasselblad.
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Robert Capa pseudonimo di Endre Ernõ Friedmann nasce a Budapest il 22 Ottobre 1913 muore, saltando su una mina, nella provincia di Thai Binh (Vietnam) il 25 Maggio 1954. Tra il 1931 e il 1933 studiò scienze, presso l’Università di Berlino, ma poi dovette lasciare la Germania a causa delle suoi origini ebraiche. Inizia i primi passi nella fotografia da autodidatta fino a che non decide di trasferirsi a Parigi e diventa fotografo freelance.
Diventa molto famoso durante la Guerra Civile Spagnola grazie alla foto “Il Miliziano colpito a morte” anche se ancora oggi se ne discute la autenticità. Secondo alcuni la foto sarebbe stata montata ad arte dallo stesso Capa e quindi le circostanze dello scatto non sarebbero veritiere.
Ma lui si difende dando particolari precisi dei momenti che lo hanno portato allo scatto raccontando questo: “Ho scattato la foto in Andalusia mentre ero in trincea con 20 soldati repubblicani, avevano in mano dei vecchi fucili e morivano ogni minuto. Ho messo la macchina fotografica sopra la mia testa, e senza guardare ho fotografato un soldato mentre si spostava sopra la trincea, questo è tutto. Non ho sviluppato subito le foto le ho spedite assieme a tante altre. Sono stato in Spagna per tre mesi e al mio ritorno ero un fotografo famoso, perché la macchina fotografica che avevo sopra la mia testa aveva catturato un uomo nel momento in cui gli sparavano. Si diceva che fosse la miglior foto che avessi mai scattato, ed io non l’avevo nemmeno inquadrata nel mirino perché avevo la macchina fotografica sopra la testa”.
Anche in tempo di pace ha fotografo, raccontando la vita decadente dei ricchi europei. Ha anche ritratto la vita dei più grandi artisti della sua epoca.
Il suo motto era “Se le tue foto non sono buone, vuol dire che non sei abbastanza vicino” ed intendeva che il reportage doveva essere fatto all’interno dell’azione. Capa cerca di limitare al minimo i filtri che possono esserci tra soggetto e fotografo ed completamente immerso nell’azione. Robert Capa ha vissuto una intensa vita fatta di lavoro e di pericolo che però lui non disdegnava, era una persona sicura di se che amava le donne e le grandi bevute.
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David Alan Harvey è nato il 6 Giugno 1944 a san Francisco. Scopre la fotografia, a 11 anni, nel 1956 quando acquista una Leica usata risparmiando dai soldi guadagnati dalla consegna di giornali. In questa fase iniziale scatta fotografie alla famiglia e al vicinato così inizia a prendere dimestichezza con i mezzi fotografici e imparare la tecnica.
In America, quando compie 20 anni, è molto presente la segregazione razziale e quindi si sposta a Norfolk (in Virginia) dove inizia a scattare fotografie alle famiglie di colore documentandone la vita.
Il suo stile è influenzato, e lo sarà per tutta la sua vita, dallo studio dell’arte e soprattutto dai pittori impressionisti francesi.
Alla fine del suo percorso scolastico di giornalismo nel Missouri, si dedica interamente al lavoro personale e a quello del National Geographic per il quale scatterà tantissime fotografie in giro per il mondo.
Nel 1978 è premiato come fotografo dell’anno e questo gli permette anche l’ammissione alla Agenzia Magnum nel 1977. Riesce a viaggiare spesso, sia per lavoro che per divertimento, e questo gli permette di cogliere la realtà sotto diverse prospettive e questo si rivedrà poi nei suoi scatti.
Per cercare di cogliere la realtà, e la verità, si mette spesso in situazioni molto complicate e pericolose. Per scattare fotografie ai narcotrafficanti, ai gangster o in qualche zona malfamata dell’America Latina si mescola a questi personaggi perché secondo lui la realtà va vissuta per essere ben espressa.
Il suo amore per la vita si rivela ad ogni suo scatto enfatizzando l’umanità dei soggetti fotografati. Se vogliamo potremo dire che David Alan Harvey è un romantico della fotografia realista.
Per quanto riguarda lo stile fotografico non se ne occupa più di tanto perché, tornando agli impressionisti, egli sostiene la supremazia del contenuto sulla forma. Per Harvey non conta la foto singola ma più che altro il reportage (progetto) fotografico con cui si possa raccontare una storia di un luogo o di una popolazione. Infatti i suoi più famosi lavori sono reportage.
Nel libro “Tell it like it is” viene raccontata la storia di una famiglia afroamericana, i Leggins, molto disponibile che Harvey segue per un mese. Erano una famiglia, del ghetto di Norfolk, con 7 figli. Questo progetto, innovativo e coraggioso per l’epoca, gli da la prima notorietà e inizia a lavorare con continuità con National Geographic.
30 anni dopo, proprio per National Geographic, Harvey realizza uno dei suoi servizi più importanti, quello dell’isola di Cuba. All’epoca, negli anni 90, Cuba era ancora una dittatura chiusa al mondo esterno. Harvey scatta girovagando tra i quartieri più poveri, partecipando alle feste e vivendo la vita quotidiana con le persone del luogo.
Ci sono tantissimi lavori su cui parlare su questo grandissimo fotografo ma ho scelto volutamente di fermarmi perché abbiamo compreso il suo animo ma non è detto che amplierò questo articoli o altri su di lui.
Per chiunque voglia espandere la conoscenza su Harvey può studiarlo attraverso i libri a lui dedicati che potete trovare in alcuni link alla fine dell’articolo.