La Sigma Corporation fondata da Michihiro Yamaki a Tokyo nel 1961. Inizia a costruire fotocamere, obiettivi, flash e accessori per la fotografia. Il suo primo prodotto commercializzato è un Tele Converter (moltiplicatore di focale) per fotocamere reflex a singolo obiettivo (SRL).
La fabbrica si trova in uno stabilimento nell’area di Aizu in Giappone, nella prefettura di Fukushima. Questo stabilimento di produzione nel 1992 è ancora quello dove tuttora vengono costruiti i prodotti Sigma.
Sede storica della Fabbrica Sigma a Aizu – Fukushima – Giappone
Uffici
Nel 1976 sviluppa il primo obiettivo grandangolare con lenti asferiche. Questo porta la produzione di nuovi obiettivi a livelli superiori.
La SD9, la prima reflex digitale prodotta dalla Sigma, commercializzata il 2003. É una fotocamera diversa dalle altre in quanto al suo interno troviamo un sensoreFoveon X3 che permette una gamma dinamica maggiore e una migliore fedeltà dei colori.
La produzione divisa in 3 parti, nel 2012, la sezione Art, Contemporary e Sport.
Un passo molto importante è la collaborazione, nel 2016, con la Leica e la Panasonic per lo sviluppo di obiettivi compatibili con la baionetta L-Mount. Da questa collaborazione nasce nel 2018 la Sigma FP una fotocamera mirrorless, la più piccola con sensoreFull Frame al mondo, che utilizza la baionetta L-Mount.
Questa azienda è stata sempre molto apprezzata nel mercato della fotografia per la qualità costruttiva e per l’uso di materiali innovativi. Uno di questi materiali è il TSC (thermally Stable Composite) che garantisce ottima qualità costruttiva e la resistenza ad agenti atmosferici sfavorevoli.
Concludendo la Sigma è diventata famosa per la fabbricazione di obiettivi di buona qualità e prezzo convenienti per la maggior parte di aziende produttrici di fotocamere: Nikon, Canon, Sony e Pentax.
Prima di parlare della storia della Kodak voglio fare un piccola premessa sulla situazione della tecnica fotografica prima del 1879. La fotografia, dal momento della sua invenzione, aveva dei procedimenti di stampa complicati e macchinosi, infatti era ad appannaggio di facoltosi e studiosi che avevano curiosità di questo nuovo mezzo. Quindi tornando alla tecnica di sviluppo della fotografia fino al 1879 era caratterizzata da lastre trattate chimicamente poi trattate, per essere sviluppate, con emulsioni fluide che erano difficili e macchinose.
Procedimento del Dagherrotype – 1837 ca. – Daguerre
Ho fatto questa premessa così da poter comprendere meglio quale innovazione nel 1879 è stata messa sul mercato da un genio dell’industria, del marketing e della tecnica fotografica George Eastman.
George Eastman
La storia della Kodak nasce quindi nel 1879 George Eastman sperimenta le prime emulsioni asciutte. Queste emulsioni asciutte consistevano in lastre di vetro ricoperte da gelatina.
Eastman, nel 1880, insieme ad un industriale amico di famiglia Henry A. Strong, fonda la Eastman Dry Plate Company per commercializzare le emulsioni asciutte.
Successivamente, nel 1884, viene introdotto sul mercato il cosiddetto “Negativo Eastman”, era una emulsione su carta che veniva trattata con la applicazione di olio di ricino. La applicazione di olio di ricino rendeva la carta abbastanza trasparente, anche se fragile, e questo consentiva una stampa della fotografia.
Il 1885 è un anno in cui avviene una delle più grandi innovazione per la fotografia, Eastman inventa e commercializza i Caricatori a rullo.
Il 1888 è l’anno in cui viene registrato il nome “Kodak” scelto senza un particolare motivo ma queste sono le parole di Eastman: “ho scelto il nome Kodak perché era un nome breve, vigoroso, facile da pronunciare e, per soddisfare le leggi sui marchi registrati, non significava nulla”. Subito dopo la registrazione del marchio e del nome, il 4 settembre 1888 viene presentata al pubblico, e commercializzata, la prima macchina fotografica prodotta da Eastman con il semplice nome Kodak e con il famoso slogan “Voi premete il pulsante, noi facciamo il resto”. Era una fotocamera dal costo relativamente basso e già caricata con un rotolo da 100 fotografie.
Tra il 1889 e il 1890 uno dei primi clienti è il famoso omaso Edison, che collaborando con Eastman, crea una cinepresa chiamata Kinetoscopio (una macchina che faceva avanzare la pellicola in modo autonomo ma che poteva essere vista solo da una persona alla volta).
George Eastman e Thomas Edison
Apro una veloce parentesi sull’apporto che ha dato la Kodak all’industria cinematografica. Le pellicole Kodak e gli strumenti messi a disposizione della azienda sono stati talmente utilizzati nel mondo del cinema che fino ad oggi (2024) la Kodak ha vinto 9 premi Oscar per il suo contributo al cinema.
Viene cambiato il nome in Eastman Kodak Company, nel 1892, in modo definitivo tanto è vero che ancora oggi è così chiamata.
Logo precedenteLogo definitivo
La Kodak Brownie è una macchina fotografica entrata sul mercato nel 1900 che in realtà spopola. Questa fotocamera era formata da una cassetta di cartoncino con una semplice lente che creava immagini quadrate su una pellicola 117. Fu venduta in oltre 150.00 esemplari nel primo anni di produzione.
Sono un fortunato possessore di una Kodak Brownie – foto dalla mia collezione
George Eastman è sempre stato considerato un grandissimo imprenditore, un filantropo e un ottimo marketing man tanto da aver anticipato di anni alcuni tipi di pubblicità. Nel 1919 consegna un terzo delle sue aziende ai suoi dipendenti (10 milioni di dollari). Fa anche tante donazioni a istituiti di ricerca come ad esempio il famoso MIT (Massachusetts Institute of Technology) in questo caso in modo anonimo, o in realtà con lo pseudonimo di Mr. Smith, con una cifra considerevole di 20 milioni di dollari. L’identità di Mr Smith rimane per tanti anni sconosciuta. In questo filone di donazioni e creazioni di reparti di ricerca, Eastman, sviluppa un apparecchio per la fotografia odontoiatrica (sto cercando di trovare qualche maggiore informazione e soprattutto immagini dell’apparecchio stesso ma non ne ho ancora trovate).
Nello stesso anno (il 1920) viene lanciata sul mercato una pellicola in bianco e nero, chiamata Pancromatica, che aveva una bassa sensibilità ma rispondeva molto meglio alla gamma di colori, soprattutto al giallo e al rosso, mentre la vecchia pellicola bianco e nero chiamata Ortocromatica non riusciva a fare.
La prima pellicola a colori viene commercializzata nel 1928 ed era chiamata Kodacolor. La Kodacolor riduceva i costi di utilizzo perché eliminava la dicotomia negativo/positivo introducendo il concetto di Negativo Invertibile. Infatti non era necessario alcun procedimento di stampa del positivo, in quanto il negativo dopo il suo sviluppo diventava proiettabile.
George Eastman si ritira dalla vita pubblica in seguito alla scoperta di un malattia incurabile alla spina dorsale che lo costringe sulla sedia a rotelle. 7 anni dopo, nel 1932, Eastman si suicida con un colpo di pistola al cuore lasciando un foglio scritto con queste parole: “Ai miei amici: il mio lavoro è compiuto. Perché aspettare?”.
Tra il 1926 e il 1934 viene commercializzata una fotocamera chiamata Kodak Hawk-Eye Model C fabbricata dalla filiale inglese. La Hawk-Eye era una macchina fotografica a cassetta molto pratica ed economica che utilizzava una lente a fuoco fisso e pellicole 6×9 caricate con un rotolo.
Kodak Hawk-Eye Model C
La Eastmancolor una pellicola a colori per il mercato cinematografico professionale cinematografico (in onore di George Eastman) viene prodotta e commecializzata nel 1951 e resta sul mercato fino ai giorni d’oggi.
Nel 1926 la Kodak produce la Instamatic 126 una pellicola 35mm chiusa in una cartuccia che bastava inserire nel retro della fotocamera così da rendere sempre più semplice, e alla porta di tutti, la fotografia.
Negli anni 70 produce la Kodak Instant una pellicola instantanea ma nel 1986 lascia questo mercato dopo aver perso una causa sul brevetto da parte della Polaroid.
Purtroppo oggi (2024), dopo aver passato anni burrascosi 2011 e 2012 anno in cui cessa la produzione di sistemi fotografici, la storia della Kodak approda al campo farmaceutico. Nel 2020 il governo federale statunitense ha concesso alla Eastman Kodak Company un prestito di 765 milioni di dollari per produrre ingredienti per l’industria farmaceutica, e così si chiude un capito della storia della fotografia durato per 130 anni.
La stampa al platino è una tecnica di stampa fotografica monocromatica fine art (fine art: tecnica che mira alla qualità artistica e pittorica dell’immagine … Treccani) che utilizza sali di platino, noti per la loro stabilità e capacità di produrre immagini di eccezionale qualità. Questa tecnica, sviluppata a metà del XIX secolo, è apprezzata per la sua gamma tonale ampia, la durata e la profondità delle immagini.
Facciamo una dettagliata panoramica di questa tecnica:
Caratteristiche Principali
Qualità dell’Immagine: Gamma Tonale: Le stampe al platino offrono una gamma tonale eccezionalmente ampia, dai neri profondi ai bianchi luminosi, passando per una varietà di grigi.
Dettaglio e Nitidezza: Grazie alla finissima distribuzione dei sali di platino, le stampe al platino sono note per la loro straordinaria nitidezza e dettaglio.
Durata e Stabilità: Lunga Durata: Le stampe al platino sono tra le più durevoli nel tempo. I sali di platino sono resistenti alla luce e agli agenti atmosferici, garantendo che l’immagine non sbiadisca nel tempo.
Archiviazione: Le stampe sono generalmente su carta cotone, priva di acidi, che contribuisce ulteriormente alla loro longevità.
Estetica Unica: Superficie Opaca: Le stampe al platino hanno una superficie opaca, che le distingue dalle stampe fotografiche tradizionali e conferisce loro un aspetto unico e raffinato.
Tonalità Calde o Fredde: A seconda del processo e dei materiali utilizzati, le stampe possono avere tonalità calde o fredde, influenzando l’atmosfera e il feeling dell’immagine.
Processo di Produzione Preparazione della Carta: La carta viene sensibilizzata con una soluzione contenente sali di platino (e spesso palladio) e un agente sensibilizzante come il ferric oxalate.
Esposizione alla Luce UV: Il negativo dell’immagine viene posizionato a contatto con la carta sensibilizzata e l’intero pacchetto viene esposto alla luce ultravioletta. La luce UV riduce i sali metallici, creando l’immagine sulla carta.
Sviluppo e Lavaggio: Dopo l’esposizione, la carta viene sviluppata in un bagno di sviluppo, poi lavata accuratamente per rimuovere eventuali residui chimici. Alcuni processi possono includere un bagno di clearing per eliminare eventuali macchie.
Vantaggi e Svantaggi
Vantaggi: Qualità e Longevità: La qualità dell’immagine e la durata sono tra i principali vantaggi della stampa al platino.
Estetica: Le stampe al platino sono molto apprezzate per la loro estetica unica.
Svantaggi: Costo: Il processo è costoso a causa del prezzo del platino e della complessità del processo.
Tempo e Precisione: La produzione di stampe al platino è laboriosa e richiede grande precisione e competenza tecnica.
Applicazioni
Fine Art Photography: Le stampe al platino sono particolarmente apprezzate nel mondo della fotografia artistica per la loro bellezza e longevità.
Archiviazione e Conservazione: Sono ideali per archiviare immagini storiche o artistiche che si desidera conservare a lungo termine.
La stampa al platino rappresenta un connubio tra arte e scienza, offrendo immagini di una bellezza senza tempo e una durata incomparabile.
I più famosi fotografi che hanno utilizzato la stampa al platino sono: Alfred Stieglitz,Edward Weston, Irving Penn, Paul Strand, Frederick H. Evans, Peter Henry Emerson, Clarence H. White, Gertrude Käsebier, Imogen Cunningham ed altri.
Alfred Stieglitz – Un pioniere della fotografia artistica, Stieglitz ha utilizzato la stampa al platino per molte delle sue opere iconiche, apprezzando la profondità e la qualità tonale che questa tecnica offriva.
Edward Weston – Conosciuto per i suoi dettagliati nudi e nature morte, Weston ha usato la stampa al platino per catturare la nitidezza e le delicate sfumature nei suoi lavori.
Irving Penn – Penn ha realizzato numerose stampe al platino, particolarmente nei suoi ritratti e nature morte, per ottenere una qualità senza tempo e una durata eccezionale.
Paul Strand – Considerato uno dei fondatori della fotografia moderna, Strand ha utilizzato la stampa al platino per molte delle sue immagini, enfatizzando la profondità e la ricchezza dei toni.
Frederick H. Evans – Celebre per le sue fotografie di cattedrali e architetture gotiche, Evans ha scelto la stampa al platino per la sua capacità di rendere con precisione le sfumature della luce e dell’ombra.
Peter Henry Emerson – Un pioniere della fotografia naturalistica, Emerson ha preferito la stampa al platino per la sua capacità di rappresentare le scene di vita rurale con un realismo pittorico.
Clarence H. White – Parte del movimento pittorialista, White ha spesso utilizzato la stampa al platino per creare immagini morbide e evocative.
Gertrude Käsebier – Una delle più influenti fotografe dell’epoca, Käsebier ha sfruttato la stampa al platino per i suoi ritratti delicati e intimi.
Il pittorialismo fu un movimento artistico nato tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX. I partecipanti cercavano di far riconoscere la fotografia una forma d’arte al pari della pittura, scultura e le altre arti riconosciute come tali.
È stata necessaria la nascita del pittorialismo perché all’epoca la fotografia veniva considerata una fonte di documentazione della realtà.
Secondo i tradizionalisti l’utilizzo di strumenti (fotocamera e vari accessori) per creare una fotografia non era considerata una vera e propria forma d’arte ma “semplicemente” documentare la realtà con delle macchine. Per cercare di far riconoscere la fotografia come arte, i pittorialisti, utilizzavano tecniche e stili che rendevano le loro fotografie simili a dipinti, disegni e incisioni.
Caratteristiche del Pittorialismo:
Tecniche di Manipolazione: I pittorialisti spesso utilizzavano tecniche come il ritocco manuale, l’applicazione di pigmenti, la stampa con processi speciali (come il platino, il carbone o la gomma bicromata) per ottenere effetti pittorici.
Soggetti Artistici: Le fotografie pittorialiste spesso ritraevano paesaggi, ritratti e scene di genere, cercando di evocare emozioni e atmosfere piuttosto che fornire una rappresentazione dettagliata e precisa della realtà.
Composizione e Estetica: L’attenzione alla composizione era fondamentale. Molte immagini erano influenzate dall’estetica del simbolismo e dell’Impressionismo, con un’enfasi su luci soffuse, contorni sfumati e una messa a fuoco selettiva.
Esponenti del Pittorialismo
Alcuni fotografi noti per il loro contributo al pittorialismo includono:
Alfred Stieglitz: Fondatore del movimento negli Stati Uniti e promotore della fotografia come forma d’arte attraverso la rivista “Camera Work”.
Edward Steichen: Collaboratore di Stieglitz e noto per le sue immagini stilizzate e atmosferiche.
Julia Margaret Cameron: Una delle prime a usare tecniche pittorialiste nel ritratto, cercando di catturare l’essenza e il carattere dei suoi soggetti.
Robert Demachy: Fotografo francese noto per le sue manipolazioni estreme e l’uso della gomma bicromata.
Evoluzione e Declino
Il pittorialismo iniziò a perdere popolarità con l’avvento del modernismo e del movimento della “straight photography” (fotografia diretta), che enfatizzava la nitidezza, l’accuratezza e l’oggettività. Fotografi come Paul Strand e Ansel Adams propugnavano una fotografia che celebrava la sua natura intrinsecamente meccanica e documentaristica, in contrapposizione all’approccio pittorico e soggettivo del pittorialismo.
Nonostante il suo declino, il pittorialismo ha avuto un ruolo cruciale nello stabilire la fotografia come forma d’arte legittima, aprendo la strada a movimenti e stili successivi nella storia della fotografia.
Gustave Le Gray: The great wave – 1857
Henry Peach Robinson: scena casalinga
Henry Peach Robinson
Julia Margaret Cameron: Gli idilli del re di Tennyson
William Henry Fox Talbot nasce a Melbury (nella contea di Dorset in Inghilterra) l’11 Febbraio 1800. Muore a Wiltshire il 17 Febbraio 1877. Talbot era un ricco proprietario terriero e si dedica fin da giovanissimo alle scienze e in particolare agli strumenti ottici, più precisamente al microscopio.
Si laurea, nel 1821, presso il Trinity College di Cambridge. Inizia a viaggiare in molti paesi europei portando con se la Camera Obscura e la Camera Lucida (di Wollatson) così da poter eseguire degli schizzi dei luoghi e paesaggi che incontra.
Una riflessione puramente personale: se ci pensiamo questo è uno degli scopi della fotografia, avere ricordi di posti visitati durante i viaggi. Quindi Talbot già 10 anni prima della sua invenzione è sulla buona strada.
Nel 1822 si mette in contatto con l’ottico modenese Giambattista Amici chiedendogli un suo esemplare di microscopio ad immersione che all’epoca era il più innovativo. Così nasce tra loro un rapporto epistolare durato fino al 1827 e poi ripreso tra il il 1839 e il 1844. Tutte le loro lettere fanno seguire alcune delle tappe fondamentali degli studi di Talbot.
Giambattista Amici – ottico Modenese
Tra i suoi viaggi si reca anche in Italia sul Lago di Como e precisamente a Bellagio, nel 1833. Mentre stava disegnando gli viene in mente un’idea “trovare il modo di fissare il disegno della luce” senza l’intervento manuale come egli stesso scrive nel suo libro “The Pencil of Nature” del 1844.
William Henry Fox Talbot si rende conto di non possedere il “dono del disegnatore” e quindi rimane deluso dai sui schizzi, sia con la Camera Obscura che la Camera Lucida, così cerca di trovare il modo di “prendere” le immagini senza un intervento manuale.
Ritorna in Inghilterra, Gennaio 1834, e si procura una soluzione di nitrato d’argento e la spalma su una carta aspettando che si asciughi, così iniziano i primi esperimenti che poi porteranno alla scoperta del suo procedimento.
Il 25 Gennaio 1839, tramite Michael Faraday (fisico, chimico e divulgatore scientifico britannico), c’è il primo annuncio pubblico del procedimento alla Royal Instution. Il primo annuncio direttamente da Talbot alla Royal Society fu fatto il 31 Gennaio 1839.
Michael Faraday – fisico, chimico e divulgatore scientifico
Un suo amico Herschel (astronomo, considerato il padre della moderna astronomia) gli da l’idea di utilizzare, per il lavaggio delle lastre, l’iposolfito di sodio. Questa idea pone rimedio, definitivamente, ad alcune problematiche del procedimento.
John Herschelastronomo, considerato il padre della moderna astronomia
Il 2 Febbraio 1839 appare una nota riassuntiva del provvedimento su “The Literary Gazette”. Il procedimento di Talbot viene anche pubblicato su “The Globe” il 25 Febbraio 1839 anche se con poche informazioni.
Nel Ottobre del 1840, Talbot, era già in grado di utilizzare veloci tempi di posa fino ad 8 secondi e questo lo annuncia tramite una lettera alla “Literary Gazette” il 5 Febbraio 1841.
Viene depositato il brevetto della “calotipia” o “talbotipia” l’8 Febbraio 1841 poi registrato il 17 Agosto. Invece in Francia viene pubblicato solo nel 1857.
William Henry Fox Talbot brevetta molto invenzioni, proibendone l’uso senza il suo consenso, contrariamente a Daguerre che però riceveva una pensione a vita.
Louis Jacques-Mandé Daguerre (1787-1851). Si occupa, inizialmente, di pittura e scenografia sia come disegnatore teatrale che scenografo all’Opéra de Paris. Queste esperienze portano Daguerre, con un amico Charles-Marie Bouton, a realizzare degli spettacoli chiamati “Diorami” con cui ebbe subito un grande successo.
Il “diorama” consisteva nell’allestimento di grandissime scenografie che comprendevano grandi tele semitrasparenti dipinte con prospettive di luoghi ed edifici famosi, cercando di ricostruire una esperienza “viva” attraverso l’utilizzo di luci ed effetti ottici. L’inaugurazione del “Diorama” avviene il 11 Luglio 1822. Queste scenografie gli diedero un grande successo, in tutta Europa, come alternativa al teatro e questo può anche essere un’anticipazione all’avvento del cinematografo.
Purtroppo l’8 Marzo 1839 il diorama di Parigi venne colpito da un incendio. Questo grave accadimento mette in crisi economica Daguerre. Fino a quel periodo non voleva rendere pubblici i risultati del Dagherrotipo perché voleva creare una società per poter guadagnare economicamente con questa grande invenzione. Ma la crisi economica derivante dall’incendio del diorama di Parigi gli fa accelerare i tempi.
Tra il 1829 e il 1835Daguerre aveva studiato con impegno ed entusiasmo i materiali fotosensibili. Aveva una continua corrispondenza con Niépce (attraverso codici segreti) con cui si scambiavano idee e informazioni sui risultati raggiunti.
Già nel 1831, Daguerre, fa prove con i vapori di mercurio che usava normalmente per l’amalgama con l’argento. Nel 1835 scopre, in modo fortunoso, che sulla lastra di rame si creava una “immagine latente”, si vedeva solo se si esponeva la lastra ai vapori di mercurio, senza lunghissimi tempi di posa ma anche “solo” dopo 30 minuti.
Il primo Dagherrotipo viene ottenuto nel 1837 sviluppando l’immagine con mercurio riscaldato, invece che con sostanze precedentemente utilizzate.
La “Gazette de France” pubblica un annuncio della invenzione del Dagherrotipo il 6 Gennaio 1839. Il giorno dopo, il 7 Gennaio 1839, Jean François-Dominique Arago (celebre ed illustre astronomo) diede comunicazione alla Accademia delle Scienze di Parigi presentando anche alcuni Dagherrotipi.
Il 7 Gennaio 1839 è anche considerata, ancora oggi, la data di nascita della fotografia.
Daguerre e Arago si danno molto da fare per la promozione di questa grande invenzione. Infatti, Arago (che era anche un membro della Camera dei Deputati), presenta un progetto per l’acquisto dell’invenzione da parte dello Stato, alla Camera dei Deputati, proponendo una pensione a vita per Daguerre di 6.000 franchi all’anno e per Isidore Niépce di 4.000 franchi che vengono poi accettate ed assegnate da Luigi Filippo il 15 Giugno 1839.
Il 19 Agosto 1839Arago presenta ufficialmente al mondo il Dagherrotipo che aveva destato una grandissima curiosità nel mondo scientifico. Questa curiosità era arrivata anche ad illustri esponenti del mondo scientifico come Samuel Morse (allora professore di disegno e letteratura all’università di New York). Morse, insieme al collega Draper, fu il primo a introdurre la dagherrotipia nell’America del Nord.
Louis Jacques-Mandé Daguerre decide, soltanto il 3 e 17 Settembre, a dare una dimostrazione pubblica del procedimento. Successivamente, il 20 Agosto 1839, Daguerre diffonde un manuale d’uso di 79 pagine che entro la fine dell’anno viene tradotto e stampato in 5 diverse lingue.
(Fonte: Storia e tecnica della fotografia – Italo Zannier – 1993 Editori Laterza)
Il Dagherrotipo più famoso della storia, scattato da Daguerre dalla finestra del suo appartamento
Ritratto femminile su dagherrotipo da 1/6 di lastra con coloritura manuale. Il lieve effetto di solarizzazione sulle aree più brillanti della camiciola induce limpressione di colore e di maggiore rilievo del tessuto. Lo sfondo uniforme ma luminoso esalta labbigliamento del soggetto accentuando il distacco tra i piani e la sensazione di profondità.
Superbo dagherrotipo francese su piastra da ¼ di lastra , tinto con tecniche miste a più colori.
Ritratto femminile su dagherrotipia tinta da 1/6 di lastra. Gioielli dipinti in oro.
Joseph-Nicéphore Niépce (1765-1833), di famiglia benestante, aveva iniziato a studiare per una carriera ecclesiastica, insieme al fratello Claude.
Il fratello Claude lavora insieme a lui a tante invenzioni, in particolare ad una macchina che avrebbe fatto procedere i battelli senza ne remi ne vele (praticamente aveva pensato all’odierno motore) che venne poi brevettato come “pyréolophore” nel 1807.
Ai tempi della Rivoluzione aveva 24 anni ed insegnava presso alla Congrégation des Pères de l’Oratoire ad Angers, ma abbandona questo incarico per arruolarsi nell’esercito. Nel 1792 fu in Italia come luogotenente del 42° reggimento di fanteria.
Due anni dopo, anche a causa di una malattia, concluse la carriera militare. Subito dopo si sposa e preferisce amministrare le proprietà di famiglia, anni in cui inizia, insieme a Claude, le prime sperimentazioni sulle sue invenzioni impegnando la gran parte delle sue economie.
L’idea di migliorare o per lo meno di rendere più semplice la tecnica litografica, sollecitò i due fratelli, a sperimentare la possibilità di utilizzare metallo anziché pietra. Pensarono anche di ottenere con la luce l’impronta di un disegno posto a contatto della lastra metallica, che inizialmente era di stagno, trattata con sali d’argento dalla nota qualità di sensibilità alla luce. Niépce utilizza anche la carta come supporto, impregnandola di cloruro d’argento e acido nitrico.
L’impossibilità di fissare l’immagine su un supporto stabile dissuade i fratelli a continuare su questa strada. Ma la loro curiosità gli fa incontrare il “bitume di Giudea” (un asfalto di uso comune che veniva utilizzato nella creazione di vernici per la stampa e si conosceva anche la sua alterabili alla luce) che si rivelerà miracoloso e fondamentale per il proseguo delle ricerche dei fratelli Niépce.
Nel 1822 dicono di aver ottenuto una “veduta della casa e del giardino di Gras” e negli anni successivi anche diverse lastre per impressione a contatto. Una di queste lastre è la famosa incisione su peltro bitumato, nel 1824, di un antico cardinale d’Ambrosie, ministro di Luigi XII, della quale esistono anche diverse copie eliografie.
Joseph-Nicéphore Niépce – Cardinale d’Amboise
Il procedimento studiato da Niépce risolve il problema del fissaggio dell’immagine ottenuto aggirando l’utilizzo dei sali d’argento. Il Bitume di Giudea, che indurisce se colpito dalla luce per un lungo periodo, rimane invece solubile nelle altre parti non esposte, se immerso in petrolio, olio di lavanda o di Dippelio; non solo questa è la proprietà “fotografica” del bitume, ma esso tende anche a schiarire, determinando lo “sviluppo”, un chiaroscuro che riproduce con sufficiente precisione il disegno dell’immagine. Questa poteva essere ottenuta da una matrice di carta resa trasparente con olio o cera e posta a contatto con la lastra bitumata. Per creare la famosa immagine “Points of vue” furono necessarie dalle otto alle dieci ore.
Joseph-Nicéphore Niépce – Points of vue
Niépce si ritiene soddisfatto dei risultati ottenuti, con le lastre bitumate, incoraggiato anche dal famoso ottico Chevalier (che un anno prima a Parigi aveva visto una delle sue eliografie).
Nel 1827 incontra sulla sua strada Daguerre che lo affascina fin da subito. I due diventano molto amici (fino alla morte di Niépce) e iniziano anche una collaborazione sui procedimenti “fotografici”. Entrambi speravano di poter trarre profitto dalle possibilità offerte della eliografia.
Louis Jacques Mande Daguerre (1787-1851)
Fu siglato un contratto tra i due il 14 Dicembre 1829, che avrebbe avuto una durata di 10 anni se Niépce fosse scomparso prima, lasciando però erede il figlio Isidore.
Niépce aveva ceduto, a titolo di quota sociale, la sua invenzione, e Daguerre per conto suo si impegnava a “apportare una nuova combinazione di camera nera, i suoi talenti e la sua industria” come l’altra metà della società.
Anche quando Daguerre inventa la sua “fotocamera” il Daguerrotipo (Daguerrotype), il contributo di Niépce sembra essere stato fondamentale.
La dagherrotipia si è realizzata in effetti in queste su queste premesse e suggerimenti, generosamente ceduti da Daguerre, dopo il contratto del 1829.
Niépce aveva compiuto esperimenti, fino ad allora, usando tre diversi supporti: il rame, dopo l’esposizione, come l’acquaforte, ottenendo una matrice che, inchiostrata, consentiva di stampare un gran numero di copie; l’argento con cui otteneva una copia unica, positiva, mediante l’annerimento del metallo con i vapori di iodio; il vetro da esaminare in trasparenza. Niépce non si è reso conto che con l’utilizzo del vetro (lastre trasparenti) aveva, in pratica, inventato il “negativo” e quindi realizzato il concetto essenziale della fotografia, in seguito invece di questo se ne rende conto Talbot. (Fonte: Storia e tecnica della fotografia – Italo Zannier – 1993 Editori Laterza)
Il sensore Foveon X3 è un sensore di immagini CMOS per le fotocamere della Sigma.
Questo particolare tipo di sensore fotografico permette di catturare (per ogni pixel) in un unico fotosito la luce incidente e di produrre i segnali relativi alle tre componenti fondamentali della luce (Rosso – Verde – Blu “RGB”) in modo molto simile alle tradizionali pellicole a colori.
Questa tecnologia ha il vantaggio, rispetto alle altre (Matrice di Bayer ecc.), di non aver bisogni di elaborazioni digitali. Nei sensori a matrice, invece, c’è bisogno di una interpolazione cromatica anche ai fotositi adiacenti per ottenere un’immagine reale.
Parlando di risoluzione di immagine e quindi di MegapIxel dobbiamo aprire una parentesi. Come sempre io cerco la esemplificazione massima quindi lo faccio anche in questo caso. I sensori a Matrice sono composti da 3 diversi fotositi (RGB) i quali hanno una corrispondenza esatta con il numero dei pixel, facendo un esempio: una fotocamera che ha un sensore da 9 MP avrà in realtà 3 MP per ogni fotosito quindi 3 milioni di punti reali.
Mentre i sensori Foveon X3 hanno i fotositi sovrapposti a sandwich (come per le tradizionali emulsioni su pellicola a colori), quindi il risultato è che se il sensore ha 9 MP sono effettivamente quelle le dimensioni dell’immagine.
Faccio una mia considerazione personale. Non ho mai utilizzato una fotocamera con questo tipo di sensore, mi dispiace perché sono molto curioso, ne comprerò una prima o poi :).
Però mi faccio una semplicissima domanda: perché è stato utilizzato solo dalle fotocamere Sigma e soprattutto per poco tempo senza aver riscosso così tanto successo come le fotocamere di marca Nikon o Canon? Penso quindi che l’idea sia stata molto bella ma che poi nel concreto non sia così tanto buona nel risultato finale. Questa, ripeto, è solo una mia modesta opinione.
La photokina è la più grande e più importante fiera nel mondo della fotografia.
La sua prima edizione si è tenuta nel 1950 e una nuova mostra è organizzata ogni due anni a Colonia, presso l’Exhibition Centre Cologne di Colonia, durante il mese di settembre.
La sua prima edizione verme chiamata Photo-und Kino-Ausstellung (Esposizione fotografica e cinematografica), suasivamente nel 1951 viene poi denominata Photokina.
Dal 1950 al 1966 si è tenuta ogni anno, dal 1966 ogni due anni in Settembre.
L’ultima si è svolta nel 2018. Purtroppo la pandemia ha fatto decidere gli organizzatori di fermare momentaneamente la fiera fino a data da definirsi (potrebbe anche portare all’addio di questa storica fiera del mercato dell’imaging).
L’idea della Magnum Photos è di Robert Capa che la comunica ai colleghi incontrandosi al ristorante del MoMa di New York. Il 22 Maggio 1947 viene ufficialmente fondata. Nasce con due sedi, una a New York e una a Parigi, successivamente si aggiungono anche Londra e Tokyo così da organizzare meglio le missioni dei fotografi.
I membri della Agenzia s’impegnarono, fin dall’inizio, a pretendere dagli editori il controllo della messa in pagina delle immagini e di verificare delle didascalie. Decisero di detenere la proprietà dei negativi, fatto nuovo per l’epoca. Ogni fotografo era libero di scegliere dove, come e con chi lavorare. La libertà d’azione significava anche poter concedersi reportage di ampio respiro, più personali, in cui l’autore potesse raccontare meglio, di più e in profondità.
I fondatori si divisero le rispettive sfere d’influenza: Henri Cartier-Bresson scelse l’Asia (con lunghi viaggi in Cina, India, Birmania e Indonesia), David Seymour si concentrò sull’Europa, George Rodger sull’Africa, mentre Robert Capa, dall’America, rimase pronto a partire per ogni dove.
Le forti personalità dei fondatori attirarono l’interesse di coloro, colleghi, che comprendevano la portata di un simile modo di pensare, da uomo e da fotografo, il proprio lavoro.
La magnum Photos ebbe subito un grande successo, dopo solo cinque anni, ha aggiunto giovani fotografi di grande successo come René Burri, Elliot Erwitt ed altri. Grazie a questa politica incentrata sulla tutela del fotografo, sia legalmente che professionalmente, la Magnum Photos ha raccolto intorno a sé molti dei migliori fotografi, permettendogli di esprimere il personale significato di fotografia e il loro rapporto con il mondo documentato.
L’agenzia Magnum ha prodotto alcuni tra i più importanti e spesso drammatici reportage della seconda metà del XX secolo, documentando guerre (il Vietnam di Phillip Jones Griffiths), catastrofi etniche (la carestia in India di Werner Bischof) o eventi sociali (il movimento americano per i diritti civili di Leonard Freed), ma anche sottolineando, con personali e originali interpretazioni, alcuni aspetti della società non evidenziati dal giornalismo scritto, raccontando il mondo degli anziani (Martine Franck), la vita dei minatori in Bolivia (Ferdinando Scianna) oppure i curiosi ritratti canini di Elliot Erwitt.
Purtroppo nel primo decennio di attività ha avuto degli episodi drammatici, la scomparsa di Robert Capa (saltato su una mina in Indocina) e di David Seymour.
Diventare membri dell’agenzia Magnum richiede la presentazione di un portfolio all’agenzia che nella riunione annuale deciderà se ammettere il fotografo ad un affiancamento di circa due anni con un fotografo membro, terminato il quale si acquisisce la carica di associato. Trascorsi ulteriori due anni, previo giudizio di un ulteriore portfolio, si diventa membri a tutti gli effetti, con il diritto di votare nelle annuali riunioni dell’agenzia. Il corrispondente è invece un fotografo non legato direttamente all’agenzia se non per lavori occasionali.
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